Sentenza del 18/12/2014 n. 26831 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
1. A seguito di successivi processi verbali di constatazione del 4.10.2000 e del 19.3.2002, redatti dalla Guardia di Finanza di Monopoli, veniva notificato alla società S. F. s.r.l., in data 4.12.2002, un avviso di rettifica parziale, emesso ai fini IVA per l'anno di imposta 1997, con il quale l'Ufficio - sulla scorta di indagini eseguite sui conti bancari intestati a F.C. e F.S., rispettivamente amministratore unico e socio della predetta società - recuperava a tassazione l'imposta non versata su operazioni imponibili non dichiarate, oltre interessi e sanzioni.
2. L'atto impositivo veniva impugnato dalla società dinanzi alla CTP di Bari, che accoglieva il ricorso.
3. L'appello avverso tale pronuncia, proposto dall'Agenzia delle Entrate, veniva, peraltro, accolto dalla CTR della Puglia, con sentenza n. 89/14/07, depositata il 30.11.2007, con la quale il giudice di seconde cure riteneva correttamente motivato l'atto impositivo ed infondata l'eccezione di illegittimità dell'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, emessa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.
4. Per la cassazione della sentenza n. 89/14/07 ha, quindi, proposto ricorso la S. F. s.r.l. in liquidazione, affidato a quattro motivi. L'Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Osserva, in via pregiudiziale, la Corte che, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, di tutti i "rapporti giuridici", i "poteri" e le "competenze" facenti capo al Ministero dell'Economia e delle Finanze, a partire dall'1.1.2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l'Agenzia delle Entrate e la controversia non può instaurarsi nei confronti del Ministero. Ne consegue che il ricorso per cassazione notificato - come nel caso di specie - a quest'ultimo, sia che abbia partecipato al giudizio di merito venendone estromesso, sia (ed a fortiori), quando non vi abbia partecipato, è inammissibile per radicale inesistenza dell'atto impugnatorio (cfr. Cass. 1123/2009; 22992/2010; 26321/2010).
2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, la S. F. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1 e art. 61, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbia fondato la propria decisione anche sull'autorizzazione all'accesso per fini fiscali alla Guardia di Finanza, emessa dal Procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, sebbene tale autorizzazione fosse stata prodotta dall'Ufficio solo in udienza, in violazione del termine perentorio di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32 e 61.
2.2. Il motivo è infondato.
2.2.1. E' bensì vero, infatti, che la produzione di nuovi documenti, consentita in appello dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, deve essere effettuata - stante il richiamo operato dall'art. 61 del decreto citato alle norme relative al giudizio di primo grado - entro il termine previsto dall'art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza con l'osservanza delle formalità di cui all'art. 24, comma 1, termine da ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) che adempie (Cass. 2787/2006; 655/2014).
E tuttavia, va rilevato che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza della denunciata violazione. Sìcchè una violazione che non abbia alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all'emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico, non può costituire oggetto di motivo di ricorso.
Ne consegue che è inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 5837/1997; 13373/2008; 6330/2014).
2.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la ricorrente non ha dedotto alcun pregiudizio concreto che possa esserle, in ipotesi, derivato dalla tardiva produzione dell'autorizzazione del Procuratore della Repubblica.
La S. F. s.r.l. si è, difatti, limitata a dedurre un generico ed imprecisato vulnus al diritto di difesa che le sarebbe derivato dalla circostanza che "nel giudizio di merito costituiva espresso motivo di la mancata allegazione (sic) della stessa all'avviso di rettifica impugnato". Da tale incompleta e generica allegazione non è dato, pertanto, desumere un effettivo e concreto pregiudizio che siffatta tardiva allegazione avrebbe comportato per il diritto di difesa della parte.
Tanto più che l'autorizzazione in parola non ha costituito neppure oggetto di una specifica impugnazione, quanto ai presupposti ed alle modalità di emissione, con il ricorso per cassazione proposto dalla contribuente.
2.3. La censura va, di conseguenza, disattesa.
3. Con il secondo motivo di ricorso, la S. F. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. Deduce, invero, la ricorrente che la sentenza n. 99/9/05, emessa dalla CTP di Bari in relazione all'IVA per l'anno di imposta 1996, e passata in cosa giudicata in data 6.2.2007, conterrebbe l'accertamento dell'illegittimità dell'autorizzazione, concessa dal Procuratore della Repubblica all'acquisizione di dati e documenti presso la contribuente, poiché motivata con riferimento esclusivo ad informazioni confidenziali ed anonime. Tale accertamento spiegherebbe, a parere della resistente, la sua efficacia anche nel presente giudizio, nel quale la decisione di appello si fonda principalmente sulla ritenuta legittimità dell'intero procedimento accertativo della Guardia di Finanza, poiché basato sul medesimo provvedimento di autorizzazione emesso dal pubblico ministero ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.
3.2. La pronuncia passata in giudicato avrebbe, peraltro, anche affermato l'illegittimità dell'atto impositivo, in considerazione dell'abnorme protrarsi delle operazioni di verifica della Guardia di Finanza, in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 e del D.M. 30 dicembre 1993, art. 8, questioni, del pari, decise dall'impugnata sentenza in senso sfavorevole alla contribuente.
3.3. D'altro canto - osserva la ricorrente - il giudicato esterno, secondo l'insegnamento costante di questa Corte (Cass. S.U. 13916/2006; 26041/2010; 16675/2011), sarebbe rilevabile anche per la prima volta in cassazione, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui - come nel caso concreto - esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.
3.4. L'eccezione è infondata.
3.4.1. Ed infatti - come questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. Cass. 13456/2014) in una vicenda processuale concernente la stessa S. F. s.r.l., ma avente ad oggetto le imposte dirette - la preclusione da giudicato può sussistere solo quando i due giudizi, quello definito ed il successivo, siano intercorsi tra le stesse parti (tra le tante, Cass. 10623/2009; 18381/2009; 8650/2010). Nella specie, la sentenza passata in giudicato (n. 99/9/05) è stata - per contro - emessa in un giudizio tra l'Agenzia delle Entrate e la SOL.FOR. s.r.l., soggetto giuridico diverso dalla S. F. s.r.l.
3.4.2. Né il collegamento esistente tra le due società - definite come "consorelle" nel ricorso della S.F. s.r.l. - può farle considerare un unico soggetto. Il collegamento economico - funzionale tra società, invero, non comporta di per sì l'insorgere di un autonomo soggetto di diritto o di un centro di imputazione di rapporti diverso dalle singole società collegate, le quali conservano la rispettiva personalità giuridica e la propria autonomia decisionale (Cass. 10688/1996; 6361/2000; 20321/2010). 3.5.
Il mezzo in esame va, pertanto, rigettato.
4. Con il terzo motivo di ricorso, la S. F. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. 30 dicembre 1993, art. 8 e della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4.1. Premesso che la verifica effettuata dalla Guardia di Finanza si sarebbe svolta nel periodo dal 29.9.1998 al 4.10.2000, il giudice di appello avrebbe, invero, del tutto erroneamente disatteso l'eccezione della contribuente diretta a far valere l'inutilizzabilità dei dati e degli elementi probatori acquisiti nel corso di detta verifica, per la violazione delle disposizioni succitate, che pongono precisi limiti temporali all'attività in questione, e la conseguente nullità derivata dell'avviso di rettifica emesso sulla base delle prove irritualmente acquisite.
4.2. Il motivo è infondato.
4.2.1. Va - per vero - anzitutto osservato, in proposito, che, in tema di verifiche tributarie, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 nel fissare agli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria il termine di trenta giorni lavorativi (successivamente prorogabile) di permanenza presso la sede del contribuente, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi. Né assumono rilevanza alcuna, in materia, le disposizioni, peraltro di natura meramente amministrativa, assunte - come il D.M. del Ministero delle Finanze 30 dicembre 1993 - per mere finalità di autorganizzazione e di coordinamento della capacità operativa dell'Amministrazione finanziaria da destinare all'azione accertatrice, onde impedire un impiego irrazionale ed improduttivo del personale addetto alle verifiche. E' del tutto evidente, invero, che tali disposizioni, in quanto contenute in una fonte secondaria, qual'\� il regolamento ministeriale di organizzazione, non possono introdurre limitazioni al procedimento impositivo, neppure limitatamente all'attività istruttoria, dal momento che il potere di accertamento e di rettifica, in quanto esercizio di podestà autoritativa, è regolato da norme primarie, ai sensi dell'art. 97 Cost..
Ne discende che il termine in parola non può ritenersi superato in base al mero computo dei giorni trascorsi tra l'inizio e la fine delle attività di verifica (Cass. 23595/11).
Ebbene, nel caso di specie, la SOL.FOR. s.r.l. non ha trascritto nel ricorso il processo verbale di constatazione, e neppure ha indicato, con autosufficiente deduzione, gli effettivi giorni di attività lavorativa impiegati dall'Ufficio per la verifica, onde consentire alla Corte di accertare se il predetto termine legale di durata sia stato, in concreto, effettivamente superato.
4.2.2. Ma vi è di più.
Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. E neppure la nullità di tali atti potrebbe ricavarsi dalla "ratio" delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione (cfr. Cass. 14020/2011; 19338/2011; 17002/2012; 26732/2013).
4.3. Per tali ragioni, dunque, la censura non può che essere rigettata.
5. Con il quarto motivo di ricorso, la S. F. s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
5.1. La censura si fonda su un duplice apparato argomentativo: a) la CTR sarebbe, invero, anzitutto incorsa nella violazione del disposto dell'art. 2697 c.c., avendo imputato alla contribuente di non avere fornito la prova dell'errata determinazione del maggiore imponibile operata dai verificatori, laddove sarebbe stato onere dell'Ufficio comprovare il fondamento della propria pretesa fiscale; b) il giudice di appello sarebbe, dipoi, incorso anche nella violazione del disposto dell'art. 2727 c.c., dal momento che le conclusioni dei verificatori - trasfuse nei processi verbali di constatazione e recepite in toto dalla CTR - avrebbero dato luogo ad una presunzione di secondo grado, vietata dal disposto della norma succitata, laddove definisce la presunzione come la conseguenza che la legge o il giudice trae da un "fatto" noto, e non da un'altra presunzione, per risalire ad un fatto ignorato.
5.2. Il motivo è infondato.
5.2.1. Va - per vero - osservato, al riguardo che la presunzione, stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai successivi artt. 54 e 55, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all'attività svolta in regime IVA e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti.
La presunzione in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere, pertanto, vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. 9573/2007; 21132/2011; 1418/2013). E tuttavia, a tal fine non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sui conti correnti, essendo, per contro, necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (Cass. 1739/2007; 13818/2007; 9146/2010; 21303/2013).
5.2.2. Tanto chiarito sul piano dell'efficacia probatoria di dette acquisizioni bancarie, va, però, soggiunto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, (nel testo vigente "ratione temporis"), secondo cui gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all'attività di indagine volta al contrasto dell'evasione fiscale, nel senso di circoscrivere l'analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell'azienda individuale o alla società.
L'accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, ben possono, invero, essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l'ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l'infedeltà della dichiarazione e l'attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei soci o dei loro familiari non siano ad essa riferibili (Cass. 374/2009; 26173/2011; 11145/2011).
5.2.3. E non può certo dubitarsi, al riguardo, del fatto che un elemento fortemente presuntivo sia costituito dall'essere la società di capitali, sottoposta a verifica, connotata - come nella fattispecie in esame è dato desumere dagli atti del giudizio - da una ristretta compagine sociale. In tal caso, infatti, per intuibili ragioni, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano - in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario - ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (cfr. Cass. 18083/2010; 12624/2012;12625/2012).
5.2.4. Ebbene, nel caso di specie, la CTR ha accertato in fatto che sui conti dei soci della S. F. s.r.l. erano state effettuate operazioni (prelevamenti e versamenti), in relazione alle quali nessuna spiegazione convincente era stata fornita dagli stessi, sia durante la verifica della Guardia di Finanza, che nel corso dello stesso giudizio di appello.
Ne discende, pertanto, che la dedotta violazione del disposto di cui all'art. 2697 c.c., per tali ragioni, non può considerarsi sussistente.
5.2.5. Quanto alla pretesa violazione del divieto di doppia presunzione, va osservato che la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come inammissibile presunzione di doppio grado, poiché è il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2) a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall'indagine bancaria devono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.
Per contro, il divieto di doppia presunzione (cd. praesumptio de praesumpto) attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale e, dunque, non ricorre nel caso in cui l'Ufficio finanziario procede all'accertamento fiscale sulla base di proventi desumibili dalle indagini su conti correnti bancari compiute dalla Guardia di Finanza, ai sensi della disposizione succitata (cfr. Cass. 374/2009; 5849/2012; 17953/2013).
5.3. Il mezzo in esame va, di conseguenza, disatteso.
6. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso della S. F. s.r.l. in liquidazione non può che essere integralmente rigettato.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per una compensazione delle spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell'Agenzia delle Entrate; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500,00, oltre alle spese prenotate a debito; compensa le spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 22 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2014
Registrati al nostro portale per accedere al motore di ricerca delle sentenze.
RegistratiSentenze.io 2023