Sentenza del 08/04/2016 n. 6858 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Svolgimento del processo
Nell'ottobre 97 T.M., T.S. ed N. A. impugnavano avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino l'avviso di rettifica e liquidazione n. (XXXXX), loro notificato dall'Ufficio del Registro (a seguito di atto di liquidazione dell'imposta principale, non impugnato) a titolo di maggiore imposta complementare di successione ed Invim. Contestavano la pretesa dell'ufficio sotto i seguenti principali profili: - imputazione per intero, e non pro quota del 50% , della partecipazione detenuta dal de cuius nella Arno srl, in realtà già attratta alla comunione legale tra i coniugi; - erronea rettifica del valore di tale quota, non basata sul bilancio, bensì sul valore patrimoniale corrente; per giunta limitato alle sole poste attive e di avviamento;- erronea determinazione della quota di immobili donati in vita dal de cujus; - illegittima valutazione ai fini Invim.
La Commissione Tributaria Provinciale (sent. 92/6/1998) accoglieva il ricorso sotto tutti i profili dedotti; e tale sentenza veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino (sent.1/31/1999).
Proposto ricorso per cassazione dall'ufficio, interveniva la sentenza n. 14173/03 con la quale la corte di legittimità: - cassava senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto ammissibile la contestazione da parte dei coeredi della quota della società Arno srl imputabile al de cuius, nonostante che essa fosse stata proposta per la prima volta avverso l'avviso di rettifica, non già avverso l'atto di liquidazione dell'imposta principale; affermava, per la valutazione della quota societaria, il criterio delle risultanze di bilancio D.Lgs. n. 346 del 1990 , ex art. 16, comma 1, lett. b in luogo di quello (utilizzato dall'ufficio) dei valori patrimoniali correnti; - cassava con rinvio la sentenza impugnata per difetto di motivazione in ordine alla stima in concreto della quota e, in particolare, alla questione dell'avviamento, suscettibile di essere riesaminata e risolta in sede di rinvio.
A seguito della mancata riassunzione del giudizio di rinvio, l'amministrazione finanziaria provvedeva ad emettere il ruolo n. (XXXXX), e conseguente cartella n. (XXXXX), portante l'intero importo (oltre gli interessi ed aggi) già accertato con il suddetto avviso di rettifica e di liquidazione, come sopra impugnato.
I T. ricorrevano contro il ruolo avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale, con sentenza n. 110/15/06, l'annullava, sul presupposto che l'Amministrazione Finanziaria non avesse tenuto conto dell'avvenuta formazione del giudicato, su taluni degli aspetti in contesa, nel precedente giudizio definito con la suddetta sentenza di legittimità n. 14173/03. Questa decisione veniva confermata dalla commissione tributaria regionale di Torino con sentenza n. 32/34/09, qui impugnata, la quale assumeva, per quanto qui ancora rileva, che in base agli art. 393 c.p.c. (come costantemente interpretato dalla S.C.) e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 l'estinzione del giudizio tributario non escludeva gli effetti del giudicato intervenuto nel giudizio estinto su alcuni aspetti controversi; giudicato nella specie formatosi sia sulla quota di donazione immobiliare e sul valore immobiliare a fini Invim (in forza della sentenza CTP 92/6/1998, non impugnata in questi capi), sia sulla stima della quota di partecipazione in Arno srl (in forza di quanto statuito da Cass. 14173/03, la cui cassazione sul punto era stata disposta non per accoglimento della tesi dell'ufficio, ma per carenza di motivazione in punto avviamento).
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale, viene dalla Agenzia delle Entrate proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, entrambi basati - D.Lgs. n. 546 del 1992 , ex art. 63 - sulla sopravvenuta definitività dell'atto impositivo per effetto dell'estinzione del giudizio di impugnazione. Resistono con controricorso i T. secondo i quali, come anche desumibile dagli artt. 310 e 393 c.p.c. , l'estinzione del giudizio non porrebbe nel nulla, nel giudizio tributario successivamente proposto, il giudicato formatosi nel giudizio estinto.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate deduce - ex art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 - violazione e falsa applicazione degli artt. 310, 338 e 393 c.p.c. ; per avere il giudice di merito ritenuto l'illegittimità della cartella di pagamento in oggetto in quanto contrastante con il giudicato formatosi nel giudizio estinto, senza con ciò considerare che l'estinzione del giudizio aveva impedito la formazione del giudicato, e che correttamente tale cartella era stata emessa sulla base dell'atto di rettifica ed in ragione dell'intera quota di partecipazione del de cujus alla società Arno srl.
1.2 Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto (pag. 5) che l'estinzione del giudizio, nella specie conseguita alla mancata riassunzione dopo la cassazione con rinvio, non privasse di rilevanza il giudicato progressivamente formatosi (sia per effetto della mancata impugnazione di taluni capi della sentenza di primo grado, sia per effetto della solo parziale cassazione) nel corso del giudizio estinto; sicché di tale giudicato illegittimamente l'ufficio non avrebbe tenuto conto nell'emettere (richiamando in toto la pretesa di cui all'avviso di rettifica e liquidazione) la cartella di pagamento oggetto del presente giudizio.
Questa soluzione, basata sul principio generale di cui all'art. 310 , comma 2 (permanente efficacia delle sentenze di merito) e art. 393 c.p.c. , u.p. (permanenza nel nuovo giudizio dell'effetto vincolante della sentenza di cassazione) attua un costante orientamento di legittimità, secondo cui "nel caso di estinzione del giudizio di rinvio per sua mancata (o tardiva) riassunzione, deve ritenersi, comunque, applicabile il disposto di cui all'art. 310 cod. proc. civ. , con la conseguenza che, nel nuovo processo eventualmente instaurato attraverso la riproposizione della domanda, conservano efficacia, e sono pertanto utilizzabili, tutte le statuizioni di merito su cui, nel corso del procedimento ormai estinto, si sia formato il giudicato; e cioè le sentenze di merito non definitive che non abbiano formato oggetto di impugnazione (o i cui motivi di impugnazione siano stati rigettati), ovvero quelle definitive, ma passate solo parzialmente in giudicato, per essere stati accolti i motivi di ricorso solo relativamente ad alcuni capi della sentenza, in virtù del principio della formazione progressiva del giudicato" (Cass. sez. n. 3, n. 6712 del 15/05/2001; in termini: Cass. Sez. 2, n 20311 del 15/10/2004, ed altre).
La Commissione Tributaria Regionale non si fa carico, per la verità, del problema della estendibilità di questo (pacifico) principio generale al processo tributario, il cui assoggettamento alle disposizioni del codice di procedura civile è espressamente condizionato - D.Lgs. n. 546 del 1992 , ex artt. 1 e 49 - da vincolo di compatibilità e specialità.
D'altra parte, che non si trattasse affatto di dubbio privo di consistenza doveva desumersi dal fatto che il processo tributario ha natura impugnatoria dell'atto impositivo, in modo tale che l'estinzione del giudizio (sancita, per l'ipotesi di mancata riassunzione del giudizio di rinvio, dall'art. 63, comma 2 D.Lgs. cit.) determina di regola la definitività ed intangibilità del provvedimento impositivo impugnato; e, inoltre, dalla circostanza testuale per cui quest'ultima disposizione, pur riproducendo alla lettera l'art. 393 cod. proc. civ. , prima parte non ne riproduce altresì la seconda, quella appunto dedicata alla preservazione dell'effetto vincolante della sentenza della corte di cassazione nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda.
Ferma restando la obiettiva lacuna motivazionale, la decisione della commissione tributaria regionale - di conservare nella specie gli effetti del giudicato, intervenuto nel corso del giudizio estinto, sulla pretesa impositiva - deve purtuttavia ritenersi giuridicamente corretta; non reputandosi dirimenti, in senso opposto, i dubbi test rassegnati.
Le suddette caratteristiche del processo tributario non paiono infatti tali da disattendere una regola generale ed insuperabile di vincolatività del giudicato tra le parti ex art. 2909 cod. civ. ;dovendosi al giudicato attribuire - quale ne sia l'origine e la modalità di formazione - la valenza di vero e proprio comando giuridico integrante elemento normativo della fattispecie concreta, atto a conformare definitivamente ed irrevocabilmente il rapporto giuridico tra le parti. Tanto che, per quanto eventualmente formatosi in un diverso processo tra le stesse parti (giudicato esterno), esso non costituisce oggetto di un'eccezione in senso tecnico dovendo, nei limiti della allegazione e conoscenza, essere rilevato ed applicato anche d'ufficio dal giudice (Cass. 12159/11; ord. 28247/13;11365/2015); previa se del caso, la ricostruzione dei suoi limiti oggettivi e soggettivi di efficacia secondo i canoni dettati per l'interpretazione delle norme giuridiche. CASS. 22883/08; 21200/09).
Il che appare del resto connaturato alle imprescindibili finalità ordinamentali volte a perseguire e valorizzare la definitività dell'assetto giuridico sostanziale (oltre che processuale) del rapporto controverso; evitando al contempo che quest'ultimo possa trovare regolazioni tra esse confliggenti. Finalità certo tutt'altro che estranee all'ordinamento tributario, il quale si attua mediante l'emanazione di atti amministrativi che - a fortiori per tale loro natura - non possono mai porsi contra jus. Quanto alla specificità della pretesa impositiva, poi, non possono non rilevare quei cardini costituzionali preoccupati tanto di attuare il principio generale della capacità contributiva, quanto di assicurare coerenza ed effettività al buon andamento ed all'imparzialità dell'azione amministrativa tributaria.
Orbene, nell'ipotesi di estinzione del giudizio la natura impugnatoria del processo tributario comporta di regola - in effetti la definitività dell'atto impugnato, "giacche quest'ultimo non è un atto processuale, ma l'oggetto dell'impugnazione" (Cass. n. 16689/2013; 5044/12; ord. 3040/88).
Purtuttavia, l'impugnazione in sede tributaria sottende una domanda di accertamento negativo della pretesa impositiva, la cui disciplina non si sottrae all'effetto del giudicato formatosi tra le parti;
soluzione, quest'ultima, idonea a realizzare quel controllo di legalità, non solo formale, ma anche sostanziale dell'obbligo fiscale che il processo tributario si assume quale tipico strumento, per usare un'espressione ormai generalmente invalsa in dottrina e giurisprudenza, di impugnazione-merito. Con il risultato di attribuire alla decisione giurisdizionale un ruolo non meramente rescindente dell'atto di accertamento, ma anche prescrittivo- sostitutivo nella rideterminazione del contenuto effettivo della pretesa tributaria contestata (tra le altre, Cass. 11935/12).
Ciò detto, va consequenzialmente affermato che, al fine di evitare la formazione del giudicato in proprio danno, tutte le parti del processo tributario - dunque anche l'Amministrazione Finanziaria e non solo il contribuente - possono avere interesse e legittimazione a riassumere il giudizio a seguito della sentenza di rinvio; con un atto che non è di impugnazione, bensì di mero impulso processuale spettante, come tale, a tutti i soggetti del giudizio di legittimità.
E con l'effetto ulteriore che, ove l'ufficio impositore deve adeguare la propria posizione sostanziale all'esito del giudicato parziale determinatosi nei suoi confronti nel corso del giudizio estinto;
senza poter puramente e semplicemente porre in riscossione la propria pretesa sulla base dell'atto impositivo impugnato, come se quest'ultimo non fosse stato ritenuto, per taluni aspetti, illegittimo con sentenza passata in giudicato.
Ciò è esattamente quanto accaduto nella presente fattispecie, nella quale il ruolo e la cartella di pagamento sono stati emessi mediante la pura e semplice riproduzione (salvo l'addebito di accessori ulteriori) dell'atto di rettifica e liquidazione di imposta già fatto oggetto del giudizio definitosi con la sentenza di legittimità n. 14173/03 più volte citata.
Sìcchè non può dirsi che l'impugnazione della cartella di pagamento al fine di opporre il giudicato così intervenuto su taluni aspetti della pretesa - dedotti in un nuovo processo ex art. 393 cit., ferma restando l'identità del rapporto giuridico originario tra le parti contravvenga, di per sì, ai limiti di impugnabilità della cartella medesima esclusivamente per vizi suoi propri. Essendo tale impugnazione finalizzata non già ad inammissibilmente aprire - o riaprire - la controversia di merito sui presupposti dell'atto impositivo prodromico all'emanazione della cartella, quanto soltanto a far constare la difformità di quest'ultima rispetto all'atto impositivo così come risultante all'esito del giudicato; o, per meglio dire, a far emergere la realtà di una situazione pretensiva il cui titolo non può più essere rappresentato dall'originario atto di accertamento in quanto tale, perché (parzialmente) modificato e sostituito dal giudicato.
Obiettivi pratici che, in una fattispecie segnata invece dalla integrale insistenza dell'originario atto di accertamento (qui ritenuto illegittimo fin dalla sentenza CTP n. 92/6/98), non potrebbero essere perseguiti che in sede di contrasto della cartella su di esso basata.
Né potrebbe sostenersi - nell'attribuire irremovibile vigore al principio di definitività dell'atto impositivo a seguito dell'estinzione del giudizio di impugnazione - che la preclusione alla contestazione della cartella discenderebbe qui dall'acquiescenza mostrata dal contribuente. Va infatti osservato che - una volta affermata in linea di principio l'efficacia conformativa del giudicato parziale progressivamente intervenuto nel giudizio di impugnazione proposto dal contribuente - l'inerzia di questi nella riassunzione del giudizio di rinvio non può ex se implicare manifestazione di acquiescenza rispetto alla pretesa fiscale originaria; quanto, al più, rispetto proprio all'assetto impositivo in quel momento risultante dal complesso delle pronunce giurisdizionali via via emesse, ed il cui definitivo consolidamento, ancorchè non interamente satisfattivo, ben può rispondere all'interesse del contribuente medesimo. In maniera tale che non di vera e propria inerzia si dovrebbe parlare, quanto di valutazione discrezionale della più conveniente opzione processuale.
Si osserva poi che la conclusione fin qui sostenuta non potrebbe ritenersi inficiata dalla disciplina generale - come oggi vigente - della riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio;
disciplina generale che presuppone anch'essa, a monte, l'esatta individuazione dell'importo dovuto dal contribuente sulla scorta dell'esito dei vari gradi di giudizio.
Vale, in proposito, ancora la pena di rilevare come una diversa conclusione non potrebbe sostenersi nemmeno argomentando dalla nuova formulazione (qui considerata, per quanto pacificamente inapplicabile ratione temporis alla vicenda, al solo fine di vagliarne un'eventuale utilità interpretativa di sistema) del recente D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 68, comma 1 attuativo della delega di riforma del contenzioso tributario.
Se infatti vero che tale nuova formulazione prevede espressamente che il contribuente debba corrispondere "(…) l'intero importo indicato nell'atto in caso di mancata riassunzione" a seguito di cassazione con rinvio, altrettanto indubbio è che tale previsione attua l'effetto normalmente conseguente all'estinzione del giudizio ed alla correlata definitività dell'atto impugnato; senza però farsi carico della peculiarità costituita dal porsi quest'ultimo parzialmente in contrasto con il giudicato formatosi nel giudizio estinto. Sìcchè non può dirsi che la sopravvenuta esplicitazione normativa apporti un decisivo mutamento dei termini del problema, come fin qui vagliati.
Va in definitiva concluso nel senso che il principio per cui l'estinzione del giudizio tributario determina la definitività dell'atto impositivo impugnato non rende incontestabile tale atto allorquando esso risulti illegittimo perché in contrasto con il giudicato progressivamente formatosi, su alcuni aspetti della pretesa tributaria, nel giudizio estinto.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso l'agenzia delle entrate deduce violazione di legge, per avere la corte di appello individuato il giudicato anche in ordine alla rilevanza dell'avviamento ed al criterio della stima della quota sociale, nonostante che tale giudicato fosse nella specie precluso dall'avvenuta cassazione del capo di sentenza relativo, a nulla rilevando che l'annullamento fosse dipeso da carenza di motivazione (sent. 14173/06, par. 12).
2.2 Altro problema concerne l'individuazione, nel caso concreto, dei capi decisionali effettivamente coperti da giudicato.
La sentenza qui impugnata enuclea puntualmente (pagg. 6, 7) le questioni ormai definitivamente acclarate, correttamente individuate in base al criterio nemmeno questo esplicitato, ma non per questo non univocamente identificabile - per cui deve reputarsi capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato, quello che risolva una questione controversa dotata di autonomia ed individualità; così da poter astrattamente integrare il contenuto di una decisione del tutto indipendente (Cass. 10043/06; 4732/12).
Per quanto concerne, segnatamente, le questioni devolute alla decisione di legittimità n. 14173/03, il principio di conservazione della sentenza di cassazione ex art. 393 c.p.c. va in primo luogo riferito all'accoglimento del primo motivo di ricorso formulato dall'amministrazione finanziaria, ed avente ad oggetto la preclusione per i T. di porre in discussione - per la prima volta con l'impugnazione dell'avviso di rettifica e liquidazione di maggiore imposta - la misura (50 % ) della quota di partecipazione societaria del de cujus, in quanto già posta a base dell'atto di liquidazione dell'imposta principale, e divenuta definitiva per effetto della mancata impugnazione di quest'ultimo. Non senza osservare, peraltro, come si verta di profilo favorevole all'amministrazione, della cui ritenuta vincolatività quest'ultima in sostanza si giova (dal che consegue finanche l'inammissibilità per carenza d'interesse, in parte qua, del motivo di ricorso qui in esame).
Ulteriore aspetto coperto dal giudicato è rappresentato dalla soluzione apprestata dalla corte di legittimità (sul secondo motivo del ricorso colì presentato dall'amministrazione finanziaria) al punto controverso costituito non già dalla misura della quota ma dal valore venale della partecipazione societaria detenuta dal de cujus;
ciò in sede di interpretazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 16, comma 1, lett. b) in rapporto al previgente D.P.R. n. 637 del 1972, art. 22. Su questo punto, deve ritenersi intangibile, nella disciplina della fattispecie concreta, il principio secondo cui: "nel caso di società che hanno pubblicato un bilancio o un inventario, sarà alla risultante di tali atti che dovrà farsi riferimento, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti; onde l'amministrazione non può procedere con accertamento autonomo alla determinazione del valore delle quote, ma dovrà se del caso preventivamente contestare l'inattendibilità o l'infedeltà del bilancio o dell'inventario, tenendo conto anche di accertamenti relativi ad altre imposte. Non è invece possibile, prescindendo dal bilancio o dall'inventario, procedere autonomamente all'accertamento di un maggior valore della quota, essendo invece necessario preventivamente contestare le poste degli atti societari per desumerne l'infedeltà della dichiarazione successoria" (sent. 14173/03 par. 11).
L'affermazione di questo principio da parte della sentenza di legittimità in esame non ha tuttavia comportato il rigetto integrale del motivo di ricorso proposto dall'Amministrazione Finanziaria, posto che la S.C. ha sul punto parzialmente accolto tale motivo. L' dove, con esso, si lamentava che la sentenza di appello nulla avesse detto a proposito della questione del valore della quota e, in particolare, dell'avviamento aziendale; questione che, secondo quanto stabilito dalla sentenza di cassazione, doveva per tale ragione "essere riesaminata e risolta in sede di rinvio".
Orbene, come rilevato dall'Agenzia delle Entrate nel motivo del presente ricorso per cassazione, la commissione tributaria regionale ha erroneamente affermato che il giudicato si fosse formato anche in punto avviamento e, più in generale, determinazione del valore della quota di partecipazione del de cujus in Arno srl, posto che la S.C. "aveva cassato la sentenza di appello e rinviato alla CTR in diversa composizione, ma solo per la carenza di motivazione sul punto e non per aver accolto il secondo motivo del ricorso dell'ufficio che, invece, era stato espressamente respinto" (sent, qui impugnata, pag.7). Senonché, il passaggio in giudicato della pronuncia su capo autonomo è evidentemente precluso dalla cassazione in quanto tale, indipendentemente dal fatto che quest'ultima venga disposta per vizio di motivazione invece che per violazione o falsa applicazione di legge.
In definitiva, l'individuazione da parte della corte di legittimità del criterio normativo qui applicabile alla stima del valore venale della quota (valore di bilancio, salvi mutamenti sopravvenuti o contestazione delle poste degli atti societari) lasciava impregiudicato l'esito valutativo dell'applicazione al caso concreto del criterio così designato; sicché l'avvenuta cassazione per omessa motivazione determinava, contrariamente a quanto esplicitato dalla sentenza qui impugnata, non già una preclusione corrispondente a quella che si sarebbe verificata se il secondo motivo di ricorso fosse stato rigettato in toto, bensì la necessità di riesame e risoluzione in sede di rinvio.
Nel presente motivo di ricorso l'amministrazione ha espressamente richiesto a questa corte di rilevare l'errore di giudizio nel quale è incorsa la Commissione Tributaria Regionale nella parte in cui ha ritenuto "che nel giudizio sull'avviso di rettifica si sia formato il giudicato anche sulla questione della rettifica del valore della quota societaria, sull'erroneo assunto che la statuizione della CTR al riguardo era stata cassata solo per vizi di motivazione" (ric. pag. 35). E tale errore deve in effetti essere qui riscontrato.
3. Sotto questo profilo, in ultima analisi, il ricorso merita parziale accoglimento, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale di Torino la quale - applicato il principio di vincolatività del giudicato progressivamente formatosi nel giudizio estinto (par. 1.2), ed escluso che tale giudicato investa nel caso di specie la determinazione del valore venale della quota societaria in oggetto (par. 2.2) - riesaminerà e risolver\� questo aspetto in applicazione del criterio normativo individuato dalla sentenza di cassazione con rinvio; provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie per quanto di ragione il ricorso;
cassa e rinvia, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale di Torino.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 3 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2016
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