Sentenza del 05/05/2000 n. 5717 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Fatto
E.M., C.A., M. e C.C., eredi di R.C., deceduto il 1. gennaio 1993,
presentarono all'Ufficio del registro di San Miniato la dichiarazione di
successione unitamente a denunce di variazioni delle rendite catastali
relative a due unita' immobiliari risultate comprese nell'asse ereditario ed
integranti porzioni di due fabbricati "ex-rurali", "fatiscenti", siti nella
via 1. Maggio di San Miniato, rispettivamente, ai nn. 177/193 ed ai nn.
201/203, al riguardo evidenziando correlarsi le richieste di variazioni al
cambio di destinazione, da rurale ad urbana, ed all'esigenza che i cespiti
considerati, previa la relativa cancellazione dal n. c.t., venissero
iscritti nel n. c.e.u., nel quale, del resto, erano gia' censite tutte le
altre porzioni dei fabbricati cennati, da tempo impiegati come sede di
concerie.
I suddetti M. e C., nella presentata dichiarazione di successione,
determinarono in via presuntiva le rendite catastali delle unita'
immobiliari in argomento (indicandole in lire 5.187.000 ed in lire 789.000),
all'uopo facendo riferimento alle rendite delle porzioni immobiliari
attigue, classificate in categoria D/1.
L'Ufficio tecnico erariale di Pisa, provvedendo sulle denunce di
variazione dianzi richiamate, emise avviso di classamento n. 10066657, con
il quale attribui' alle unita' immobiliari in discussione le rispettive
rendite di lire 29.172.600 e di lire 5.054.000.
E.M., C.A., M. e C.C. impugnarono l'avviso di classamento considerato
dinanzi alla allora operante Commissione tributaria di primo grado di Pisa,
la quale, peraltro, con decisione n. 586/I/94, del 20 dicembre 1994,
disattese il loro reclamo, avendo ravvisato congrue le rendite stabilite nel
provvedimento contestato.
Nel frattempo, l'Ufficio del registro di San Miniato, con riguardo alle
risultanze emerse dall'avviso di classamento dianzi richiamato, emise un
avviso di rettifica e di liquidazione - n. 93/000273/000050 - recante
determinazione della maggiore imposta di successione da applicarsi sull'asse
caduto nella successione di R.C..
E.M., C.A., M. e C.C. impugnarono anche l'avviso in discorso dinanzi
all'anzidetta Commissione tributaria di primo grado, che, pero', con
decisione n. 273/95, del 15 novembre 1995, disattese anche questo secondo
reclamo.
Sugli appelli prodotti dalla M. e dai C. avverso le decisioni dianzi
indicate, la Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza in
data 2 luglio 1997, nella sancita riunione delle cause, con sentenza in data
3 luglio 1997, respinte le impugnazioni, confermo' le decisioni del primo
giudice.
La Commissione tributaria regionale ancoro' la pronuncia, innanzitutto,
al rilievo che la contestata attribuzione di rendite risultante dall'avviso
"di classamento revocato in discussione dagli appellanti si basava" su una
"stima diretta" "dell'UTE, precisando al riguardo che, costituendo la stima
diretta" "esercizio di discrezionalita' tecnica e non di discrezionalita'
amministrativa", in relazione ad essa l'obbligo di motivazione "non si pone
come si porrebbe in tale secondo caso e nemmeno come si pone quando sia lo
stesso legislatore a dettare i criteri di riferimento cui l'Amministrazione
finanziaria deve conformarsi nello espletamento della sua attivita' di
accertamento"; affermo', in secondo luogo, essersi rivelate inattendibili le
emergenze offerte dagli appellanti per dimostrare l'incongruenza delle stime
operate dall'UTE, e, segnatamente, risultare non condivisibili le
conclusioni di una relazione di consulenza di parte dagli stessi prodotta a
conforto dei prospettati assunti; considero', ancora, non potersi aver
riguardo, ai fini della determinazione delle discusse rendite, alle rendite
concernenti le unita' immobiliari attigue a quelle in controversia,
risalendo la determinazione di tali rendite ad epoca remota, sicche' le
stesse, con il trascorrere del tempo, erano diventate incongrue.
La Commissione anzidetta soggiunse, quindi, dover essere rigettate le
doglianze degli appellanti concernenti la rettifica della dichiarazione di
successione e la liquidazione dell'imposta correlativa, risultando queste il
frutto di c.d. valutazione automatica ragguagliata alle attribuzioni di
rendite catastali come sopra ravvisate legittime.
E.M., C.A., C. e M.C. ricorrono, con tre motivi, per la Cassazione della
sentenza di secondo grado citata, ad essi notificata il 18 ottobre 1997.
Il Ministero delle finanze resiste al gravame, notificatogli il 17
dicembre 1997, con controricorso del 26 gennaio 1998, con il quale si limita
ad accampare "l'infondatezza in fatto e in diritto del ricorso" ed a
chiederne il rigetto.
Diritto
L'Ufficio tecnico erariale di Pisa, con l'avviso di classamento di cui
in narrativa, ha attribuito alle unita' immobiliari in controversia le
rendite piu' sopra specificate.
E.M., C.A., C. e M.C., comproprietari dei cespiti cennati e, in quanto
tali, destinatari del suindicato provvedimento impositivo, questo hanno
impugnato, contestando le attribuzioni di rendita da esso risultanti e
deducendo le relative illegittimita', infondatezza e sproporzione rispetto
ai valori reali dei discussi beni.
La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza qui
impugnata, ha disatteso il reclamo nei termini illustrati prodotto dagli
attuali ricorrenti evidenziando, innanzitutto, rivelarsi destituiti di
pregio gli assunti con i quali costoro hanno lamentato non essere
"accompagnata da specifica motivazione" la "stima diretta" degli immobili in
argomento sulla quale l'Ufficio tecnico erariale predetto ha basato la
considerata attribuzione di rendite: ha, testualmente, osservato, al
riguardo, che "argomentando in termini di attivita' dell'Amministrazione, la
stima diretta costituisce esercizio di discrezionalita' tecnica e non di
discrezionalita' amministrativa, cosicche' l'obbligo di motivazione non si
pone come si porrebbe in tal secondo caso e nemmeno come si pone quando sia
lo stesso legislatore a dettare i criteri di riferimento cui
l'Amministrazione finanziaria deve conformarsi nell'espletamento della sua
attivita' di accertamento: basti a dimostrarlo la circostanza che ben puo'
il contribuente contrapporre alla stima diretta una sua attivita' di
estimazione… e nel caso concreto proprio questo i contribuenti hanno
tentato di fare, depositando in giudizio una perizia di stima giurata…".
La Commissione anzidetta, per motivare la data declaratoria di
infondatezza delle ragioni fatte valere dalla M. e dai C., ha poi
considerato non aver costoro "fornito … sufficienti elementi di
valutazione delle loro censure sulla congruita' dei valori contestati",
essendosi limitati a prospettare una, accampata, sproporzione fra le rendite
attribuite ai loro beni in discussione e quelle delle unita' immobiliari
agli stessi attigue, in merito articolando, peraltro, deduzioni non
condivisibili perche' "come ha chiaramente spiegato l'Ufficio tecnico
erariale, per le unita' in questione la rendita catastale e' stata
determinata mediante stima diretta con riferimento ai valori di mercato
rilevati per il biennio 1988/89, in forza del D.M. 20 gennaio 1990… per le
altre unita' immobiliari venne compiuta la stima diretta, ma, a suo tempo,
con riferimento ai valori di mercato alla data dell'impianto del catasto,
senza che sia stata successivamente ricalcolata …", sicche' il
"trascorrere del tempo ha reso sempre piu' incongruo il valore della rendita
catastale".
La Commissione medesima ha concluso affermando che "non possono
lamentarsi i contribuenti di una situazione nella quale un criterio adeguato
di stima e' stato osservato soltanto per il loro caso".
E.M., C.A., C. e M.C., con il primo motivo di ricorso, deducono
appalesarsi la sentenza impugnata inficiata da "violazione e falsa
applicazione degli artt. 10, R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 e 3, legge 7
agosto 1990, n. 241 (art. 360, n. 3, c.p.c.)": piu' specificamente, sulla
premessa che la "stima diretta" dell'Ufficio tecnico erariale, sulla base
della quale deve essere attribuita la rendita catastale agli immobili del
genere di quelli in giudizio, "consiste in una vera e propria valutazione…
che … deve essere esplicitata dall'Amministrazione finanziaria nell'atto
di attribuzione di rendita, con espressa indicazione dell'iter
logico-argomentativo al riguardo seguito (e), in ispecie, tramite la
puntuale indicazione delle caratteristiche dell'immobile e della loro
rilevanza ai fini della valutazione stessa", sostenendo, quindi, che la
valutazione di cui trattasi risulta riconducibile nel paradigma degli atti
di accertamento per i quali e' indefettibilmente necessaria la motivazione,
accampano essere erronea la statuizione della sentenza impugnata che ha
escluso l'invalidita' dell'avviso di classamento contestato in base al
surrichiamato rilievo del diverso atteggiarsi dell'obbligo di motivazione in
relazione alle discrezionalita', rispettivamente, tecnica o amministrativa
riservate alla Amministrazione finanziaria in relazione alle attivita', di
volta in volta, poste in essere, dovendo, viceversa, ritenersi che "la
distinzione tra discrezionalita' amministrativa e discrezionalita'
tecnica… e' del tutto inconferente nel diritto tributario, dove l'obbligo
di motivazione trova la sua ragion d'essere nella necessita' di esternare le
ragioni, in fatto e in diritto, della pretesa impositiva …", e che,
percio', "l'obbligo di motivazione sussiste anche con riferimento agli atti
espressivi di stima diretta, in ordine ai quali… implica l'indicazione
delle concrete caratteristiche del bene e la esteriorizzazione dei criteri
seguiti per l'attribuzione del valore".
La M. ed i C., quindi, con il secondo mezzo di ricorso, denunciano
evidenziarsi nella sentenza impugnata "omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art.
360, n. 5, c.p.c.)", in buona sostanza lamentando aver la Commissione
tributaria regionale ingiustificatamente negato l'attitudine delle prove da
loro offerte a dimostrare l'incongruenza della contestata attribuzione di
rendita, e, in particolare, trascurato di "soffermarsi" su una relazione di
consulenza di parte da loro prodotta, assiomaticamente negando la relativa
attendibilita'. I ricorrenti, da ultimo, con il terzo motivo di gravame,
adducono essere la sentenza impugnata la risultante di "violazione e falsa
applicazione dell'art. 2697 c.c. in materia di onere della prova (art. 360,
n. 3, c.p.c.)", per non aver la Commissione tributaria regionale tenuto
conto del dato che "non e' onere del contribuente provare l'infondatezza
delle valutazioni estimative dell'Amministrazione, ma e' quest'ultima a
dover dimostrare, in sede contenziosa … la congruita' delle
determinazioni" operate, e che cio' "non ha fatto l'Amministrazione nel caso
di specie", pervenendo, quindi, ad una pronuncia recante declaratoria di
infondatezza delle ragioni da loro fatte valere sulla base solo della
"mancata dimostrazione delle argomentazioni da essi avanzate", nella omessa
considerazione "della insanabile mancata comprovazione della pretesa
impositiva da parte dell'Amministrazione finanziaria".
Le censure, da delibarsi insieme perche', nella realta', connesse, non
sono fondate.
A) - L'avviso di classamento con il quale l'Ufficio tecnico erariale
attribuisce la rendita ad un immobile e' incontestabilmente un provvedimento
di natura valutativa, integrante atto di accertamento, che, come tale, deve
essere motivato (cfr., al riguardo, Cass., Sez. I civ., Sent. 17 novembre
1983, n. 6854; id., Sent. 3 aprile 1992, n. 4085, esattamente richiamate nel
ricorso).
B) - L'obbligo di motivazione di ogni avviso di accertamento tributario,
e, percio', per quanto qui interessa, dell'avviso di classamento e di
attribuzione di rendita, mirando a delimitare l'ambito delle ragioni
adducibili dall'Amministrazione finanziaria nell'eventuale successivo
giudizio contenzioso ed a consentire al contribuente che tale giudizio
promuova di esercitare in esso il diritto di difesa, puo', e deve,
intendersi assolto tutte le volte che risultino indicati nell'atto i criteri
e le fonti della determinazione operata.
C) - Nella fattispecie, essendo incontestato che l'avviso di classamento
di cui trattasi correla la recata attribuzione di rendite alle richiamate
risultanze di una "stima diretta" degli immobili classati operata
dall'Ufficio accertatore, alla stregua del principio enunciato nella lettera
precedente, deve aversi per indiscutibile la riscontrabilita' di una
motivazione dell'atto impositivo considerato formalmente valida.
D) - La "stima diretta", come detto, integrante il presupposto
dell'avviso di classamento considerato costituisce un atto inteso ad
esprimere un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura
eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l'adeguatezza, o
non, della motivazione rilevano ai fini, non gia' della legittimita' ma,
della attendibilita' concreta del giudizio cennato, e, derivatamente, nella
sede contenziosa adita dal contribuente per contestare la fondatezza della
pretesa impositiva coltivata dall'Amministrazione finanziaria per il tramite
dell'avviso di classamento, della verifica della bonta' delle ragioni
oggetto di tale pretesa.
Alla luce del dato cosi' evidenziato, va ravvisata sostanzialmente
corretta, pur se esternata in termini non lucidissimi, l'asserzione
contenuta nella motivazione della sentenza impugnata secondo la quale la
"stima diretta costituisce esercizio di discrezionalita' tecnica" cui il
contribuente puo' utilmente contrapporre "una attivita' di estimazione".
E) - Corollario delle osservazioni fin qui sviluppate e' che va esclusa
la riscontrabilita' nella sentenza impugnata degli errori di diritto
denunciati con il primo mezzo di gravame.
F) - La Commissione tributaria regionale risulta aver vagliato, e
riscontrato sussistente, l'attendibilita' concreta della "stima diretta" in
argomento, avendo posto in risalto, nella motivazione della sentenza
impugnata, che, "come chiaramente spiegato dall'Ufficio Tecnico Erariale",
essa va ravvisata correlata "ai valori di mercato rilevanti per il biennio
1988/89" (dovendosi rilevare, sul punto, che la declaratoria considerata non
appare specificamente contestata nel ricorso).
E' inconsistente, pertanto, l'assunto, prospettato nel terzo motivo di
ricorso, secondo il quale il giudice anzidetto, violando il dettato
dell'art. 2697, primo comma, c.c., avrebbe dichiarato fondata la pretesa
impositiva coltivata dalla p.a. odierna controricorrente in assenza di prove
suscettibili di dimostrare la bonta' delle ragioni con essa fatte valere.
G) - Le deduzioni, di cui al secondo mezzo di ricorso, della
ravvisabilita' nella sentenza impugnata di vizi della motivazione da
rapportarsi ad, asserita, inadeguata ed incongrua valutazione di prove
offerte dai ricorrenti per contrastare l'avversa pretesa impositiva, nella
realta', avuto riguardo al loro tenore sostanziale, si rivelano intese a
mettere in discussione, non gia' la sufficienza e la non contraddittorieta'
dell'iter argomentativo attraverso il quale il giudice del merito e'
pervenuto alla pronuncia censurata ma, l'apprezzamento della valenza
concreta del materiale istruttorio compiuto da quel giudice nell'esercizio
di compito a lui riservato in esclusiva, e, percio', si risolvono in
prospettazione di quaestio facti da avere per sollevata inutiliter in sede
di legittimita'.
Conclusivamente, il ricorso, siccome sorretto da motivi da ritenere
tutti immeritevoli di ingresso, deve essere rigettato.
Nella ravvisata sussistenza di giusti motivi, le spese vengono
compensate fra le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
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