Ordinanza del 21/07/2023 n. 21917 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Massime

NORMATIVA DOGANALE - DICHIARAZIONE E PAGAMENTO DEI DIRITTI DI CONFINE - REATO DI CONTRABBANDO - DEPENALIZZAZIONE - VIOLAZIONI IN MATERIA DI IVA ALL'IMPORTAZIONE - CONFISCA OBBLIGATORIA DELLA MERCE INTRODOTTA IN ITALIA

La fattispecie concerne la legittimità della confisca disposta in relazione al reato di cui al DPR 23 gennaio 1973 n. 43, art. 282, in seguito all'emanazione del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016 n. 8, che in attuazione dell'art. 1, ha depenalizzato i reati puniti con la sola pena pecuniaria della multa e dell'ammenda e, tra questi, i reati di contrabbando semplice, da accordare in chiave sistematica sia con il DPR 26 ottobre 1972 n. 633, art. 70, che fa espresso richiamo, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine, sia con le norme di cui al DPR 23 gennaio 1973 n. 43, artt. 301 e 295bis, nella parte in cui prevedono l'applicazione della confisca obbligatoria nelle ipotesi di contrabbando con diritti evasi fino ad Euro 3.996,96, sia con la Legge 24 novembre 1981 n. 689, art. 20 comma 3, cui fa espresso richiamo il legislatore della depenalizzazione con il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016 n. 8, art. 6, che prevede la confisca facoltativa amministrativa per le evasioni di imposta comprese tra i 4.000,00 Euro ed i 49.999,99 Euro. In particolare, in base al rinvio operato dal sistema dell'IVA alle sanzioni previste dalle leggi doganali relative ai diritti di confine, la depenalizzazione risulta applicabile anche alle violazioni concernenti l'evasione dell'IVA all'importazione e ciò tenuto conto anche del fatto che il legislatore delegante non ha manifestato la volontà di escludere siffatto effetto estensivo. È stata esclusa, inoltre, l'esigenza di cumulare i diritti di confine e l'IVA, ciò coerentemente al fatto che l'IVA non rientra nel novero dei diritti di confine e l'applicabilità delle leggi doganali avviene esclusivamente per determinare l'ammontare della sanzione. Ne deriva che il rinvio quoad poenam può determinare la rilevanza penale dell'evasione dell'IVA all'importazione solo quando ha natura penale la violazione della legge doganale e, precisamente, in presenza di un ammontare d'imposta superiore alla soglia di depenalizzazione oppure, per importi inferiori, quando sono integrate specifiche circostanze come violazioni riguardanti tabacchi lavorati esteri o al ricorrere di circostanze aggravanti speciali del contrabbando, mentre il contrabbando semplice e l'evasione dell'IVA all'importazione sanzionata quoad poenam con la sola multa secondo le norme relative ai diritti di confine non hanno più rilevanza penale e vengono sanzionate con l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.


Sentenze in tema

Altre sentenze aventi potenziale rilevanza sul tema.

L'art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che, anche in deroga a quanto determinato nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle Commissioni, il tributo, con i relativi interessi, deve essere pagato in maniera frazionata nella fase relativa alla pendenza del giudizio tributario. L'art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973 a sua volta prevede che le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati. Tale articolo concerne, nell'ambito della disciplina dell'iscrizione nei ruoli in base ad accertamenti non definitivi, la riscossione del tributo nella fase amministrativa, laddove il sopravvenuto art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 regola la riscossione frazionata del tributo nella fase relativa alla pendenza del processo tributario. Inoltre, a seguito della notifica di avviso di accertamento, il contribuente è tenuto a pagare: un terzo di imposte ed interessi, ex art. 15, primo comma, D.P.R. n. 602 del 1973 (dettato specificamente per le imposte sul reddito), dopo la notifica dell'avviso di accertamento, essendo la riscossione provvisoria delle sanzioni possibile solo dopo la sentenza di primo grado che respinge il ricorso; i due terzi di imposte (di qualsiasi natura siano) e interessi, dopo la sentenza di rigetto di primo grado, o quanto da questa stabilito, a norma dell'art. 68, primo comma, lettera a) e b), del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché i due terzi delle sanzioni irrogate con l'atto impugnato ex art. 19, primo comma, d.lgs. n. 472 del 1997; il residuo terzo di imposte, interessi e sanzioni dopo la sentenza di rigetto di secondo grado o quanto da questa stabilito. Nel caso di specie, è stato ritenuto che la sanzione sia stata determinata nella misura del 200 per cento rispetto all'imposta, senza apparentemente tener conto del fatto che l'art. 15 e l'art. 68, citati, prevedono rispettivamente la richiesta di pagare un terzo dell'imposta e poi, dopo la pronuncia di primo grado, il successivo terzo dell'imposta, in base all'ammontare di quanto accertato dalla sentenza con riguardo all'avviso di accertamento impugnato.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

L'art. 5 quinques, comma 3, del decreto legge 30 settembre 2005 n. 203, convertito dalla legge n. 248 del 2005 prevede l'obbligo del contribuente di comunicare all'Agenzia delle Entrate i dati e le notizie necessari per consentire l'accertamento delle conformità delle operazioni di cessione che hanno determinato minusvalenze e differenze negative cui si applicano le disposizioni inserite dallo stesso art.5 quinques, comma 1, nell'art.109 del TUIR, di ammontare superiore a 50.000 euro, derivanti da operazioni su azioni o altri titoli negoziali in mercati regolamentati italiani o esteri, anche a seguito di più operazioni e realizzate a decorrere dal periodo di imposta cui si applicano le disposizioni del d. lgs.n.344 del 2003. In caso di comunicazione omessa, incompleta o infedele, la minusvalenza e la differenza negativa realizzata venivano considerate fiscalmente indeducibili. Successivamente, l'art.11, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012 n.16, convertito con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n.44, intitolato" Modifiche in materia di sanzioni amministrative" ha inserito nell'art. 11 del D.lgs.n.417 del 1997 il nuovo comma 4 bis, il quale stabilisce che l'omessa, incompleta o infedele comunicazione delle minusvalenze e delle differenze negative di ammontare superiore a 50.000 euro e delle differenze negative di ammontare superiore a 50.000 euro è punita con la sanzione amministrativa del 10 per cento delle minusvalenze la cui comunicazione è omessa, incompleta o infedele, con un minimo di 500 euro ed un massimo di 50000 euro. Il comma 2 dello stesso art.11 cit. ha poi soppresso, in un'ottica di coordinamento, le disposizioni che, invece, prevedevano quali conseguenza della omessa, incompleta o infedele comunicazione l'indeducibilità dell'onere non comunicato e, in particolare per quello che rileva nel caso di specie, l'ultimo periodo del comma 3 dell'art.5 quinques del decreto legge n.248/2005. Ne consegue che l'illustrato ius superveniens, incidendo in materia di sanzioni, trova applicazione anche nel caso di specie, in quanto emerge chiaramente la volontà del legislatore di sostituire l'indeducibilità delle minusvalenze e delle differenze negative, ritenuta conseguenza meramente sanzionatoria dell'inosservanza dell'obbligo comunicativo, con diversa sanzione ritenuta più adeguata e proporzionata.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

In tema di imposta di fabbricazione degli spiriti, l'art. 46, ultimo comma, del D.M. 8 luglio 1924, col disporre che "oltre l'applicazione delle pene, si riscuote l'imposta di fabbricazione" implicitamente statuisce che le condotte illecite, considerate dal primo comma, fanno venir meno il regime di esenzione, e che le sanzioni previste per le condotte illecite, di cui al terzo e quarto comma, pur essendo commisurate ad un multiplo dell'imposta evasa, non assorbono l'imposta stessa, che, quindi, "in tutti i casi considerati" deve essere riscossa dall'amministrazione finanziaria, senza che il tenore letterale e tanto meno una lettura sistematica della disposizione di cui sopra consentano di ritenere che la riscossione dell'imposta, oltre che nei confronti del soggetto passivo, individuato in base alle disposizioni del D.M. 8 luglio 1924, possa effettuarsi anche nei confronti di altro soggetto (c.d. responsabile di imposta), per il solo fatto che questo si sia reso responsabile di qualcuno degli illeciti previsti dall'art. 46 del D.M. summenzionato. Massima tratta dal CED della Cassazione.

Il delitto di evasione dell'imposta sul valore aggiunto all'importazione costituisce un reato autonomo, di cui all'art. 70 del DPR 26 ottobre 1972, n.633, che concorre con quello di contrabbando doganale al quale e' collegato unicamente per cio' che concerne l'applicazione della pena, disponendo il secondo comma del citato art.70 che si applicano per quanto concerne le sanzioni "le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine". Tale normativa, in conformita' con le decisioni della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee, deve peraltro soddisfare al requisito della non sproporzione delle sanzioni rispetto a quelle concernenti l'IVA sulle cessioni di beni all'interno dello Stato, valutata sulla base della differenza fra le due categorie di infrazioni; pertanto si giustifica la disapplicazione della ipotesi delittuosa di cui all'art.70 in questione, ricorrendo detta sproporzione in base a plurimi punti di vista,( franchigia sulle infrazioni IVA all'interno dello Stato, regime della confisca particolarmente vessatorio per le infrazioni in materia di importazioni).

In tema di condono fiscale, l'art. 16 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonché la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell'Amministrazione all'accertamento dell'imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di I.V.A., non può essere disapplicato per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l'incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell'I.V.A. alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente. Allo stesso modo, l'art. 15 della legge n. 289 del 2002, avendo uguale ratio di riduzione del contenzioso potenziale, senza comportare una rinuncia dell'Amministrazione all'accertamento dell'imposta, non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice nazionale, nella parte in cui si riferisce a liti potenziali in materia di I.V.A. La causa ostativa alla definizione agevolata contemplata dall'art. 15, comma 1, della legge n. 289 del 2002 si applica alle società i cui rappresentanti legali siano stati destinatari dell'azione penale (e, dunque, di un atto di esercizio della stessa, ai sensi degli artt. 50 e 417 c.p.p.) per i reati previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000, qualora il contribuente abbia avuto formale conoscenza di tale esercizio entro la data di perfezionamento della definizione, non essendo sufficiente il mero avvio di un procedimento penale.

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