Sentenza del 14/06/1996 n. 5509 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I coniugi ___ e ___ presentavano la dichiarazione dei redditi per l'anno 1975,
determinando cumulativamente l'IRPEF dovuta in base alla legislazione allora
vigente. Detta imposta veniva riliquidata separatamente dall'Ufficio
Distrettuale delle imposte dirette di Roma, ai sensi della legge
13 aprile 1977 n. 114, con l'iscrizione a ruolo della somma di lire 65.292.706
a titolo di differenza IRPEF, soprattasse e interessi.
Avverso tale atto i contribuenti proponevano ricorso alla Commissione
Tributaria di primo grado di Roma, sostenendo che la legge suindicata non era
stata dall'Ufficio correttamente interpretata e che violava gli art. 25 e 31
della Costituzione. Tale Commissione respingeva il ricorso. L'appello dei
contribuenti alla Commissione Tributaria di secondo grado trovava, invece,
accoglimento. Contro tale decisione l'Ufficio proponeva ricorso alla
Commissione Tributaria Centrale, che accoglieva il gravame, riconoscendo
legittimo l'operato dell'amministrazione finanziaria, benche' nel caso di
specie il decumulo comportasse un maggiore onere fiscale per i contribuenti.
Contro tale decisione i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione
sulla base di due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 11, primo
comma, e 12, primo comma, delle disposizioni sulla legge in generale, nonche'
violazione degli artt. 1, 19 e 23, secondo comma, della legge 13 aprile 1977
n. 114 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.. Assumono i ricorrenti che, a
fronte di una originaria liquidazione in cumulo dei redditi, l'Ufficio aveva
proceduto alla separazione delle loro posizioni fiscali ai sensi della legge
n. 114 del 1977, escludendo la compensazione operata tra redditi e perdite
nella dichiarazione originaria. Da cio' era derivato un aumento complessivo
dell'imposizione nei confronti del nucleo familiare, imprevedibile al momento
della presentazione della dichiarazione, che aveva risentito di
un'impostazione mirata alla compensazione del globale risultato reddituale dei
coniugi. Tale risultato si poneva in contrasto con gli intenti equitativi
della riliquidazione prevista dalla legge n. 114 del 1977, in quanto questa,
anziche' portare un beneficio, aveva portato un aggravamento della complessiva
posizione fiscale dei ricorrenti. In realta' il peggioramento dell'imposizione
sui coniugi ricorrenti non era altro che la conseguenza di una interpretazione
letterale - alla quale si era attenuta anche la Commissione Centrale - dei
principi portati dalla legge n. 114 del 1977, la cui incoerenza avrebbe potuto
superarsi con una lettura logica e rispondente ai principi costituzionali di
tale sistema normativo. Infatti la legge anzicitata era stata approvata in
conseguenza della dichiarazione di incostituzionalita' del c.d. cumulo dei
redditi, avvenuta con la sentenza n. 179 del 14 luglio 1976, secondo la quale
tale sistema, obbligatorio e non rinunciabile, si risolveva, nella generalita'
dei casi, in un aggravio fiscale dei coniugi rispetto ad altri soggetti legati
da vincoli non giuridicamente rilevanti, pur manifestando la medesima
capacita' contributiva. Nella interpretazione dei giudici della Consulta,
dunque, il cumulo doveva essere eliminato oppure, in alternativa, essere reso
facoltativo, onde consentire ai coniugi di valutare l'opportunita' di una
dichiarazione "cumulativa". Nella legge n. 114 del 1977 si era data preferenza
ad una eliminazione completa del sistema del cumulo, riconoscendosi come
regola di tassazione del nucleo familiare il sistema della tassazione separata
e, al fine di eliminare gli effetti negativi del sistema del cumulo anche per
coloro che non lo avevano contestato, era stata prevista (artt. 19 e 23 della
legge citata) la generale riliquidazione dell'imposta per anni gia' "chiusi"
alla data di entrata in vigore della legge. Tuttavia, mentre l'intervento sui
rapporti esauriti trovava il proprio fondamento in una esigenza di giustizia
sostanziale, riconosciuta dai giudici della Consulta e posta a fondamento
della pronuncia di incostituzionalita', altrettanto non poteva dirsi
nell'ipotesi in cui il sistema del cumulo era stato liberamente scelto dai
contribuenti e, in considerazione di particolari aspetti della fattispecie
reddituale dei coniugi, ritenuto favorevole. Mentre nella prima ipotesi la
deroga all'esaurimento del rapporto manifesterebbe un'intenzione politica di
porre riparo alle conseguenze negative derivanti dalla conservazione di una
norma incostituzionale, nella seconda ipotesi, in cui simili conseguenze
mancano ed anzi l'aggravio fiscale deriva dall'opposto sistema di tassazione
separata, l'intervento normativo si scontrerebbe con precise esigenze, poste
anch'esse a livello costituzionale, di tutela del contribuente nel
procedimento di applicazione dei tributi. In tale ipotesi, di cui la
fattispecie dedotta in giudizio rappresenterebbe un evidente esempio, il
rapporto tributario non potrebbe essere "riaperto" al fine di consentire
l'applicazione di una norma piu' gravosa rispetto a quella originariamente
applicata dal contribuente. Gli interventi retroattivi sul presupposto di
imposizione e sui criteri legali di determinazione dell'imposta troverebbero
alcuni limiti invalicabili all'interno della nostra Carta Costituzionale.
Anzitutto l'intervento normativo retroattivo contrasterebbe con il principio
della riserva di legge in materia tributaria, previsto dall'art. 23 della
Costituzione. Dal riferimento contenuto in tale norma al concetto di legge si
ricaverebbe l'aggancio costituzionale alle "Disposizioni sulla legge in
generale", che disciplinano le regole fondamentali poste a base della
normazione e del concetto stesso di legge. Pertanto, l'art. 11 delle
"Preleggi", la' ove dispone che la legge non ha effetto retroattivo, potrebbe
essere derogata fino a consentire un'imposizione retroattiva, ma soltanto in
presenza di esigenze costituzionali giustificanti l'eccezione al corretto
svolgersi del procedimento legislativo. Percio', mentre sarebbe giustificato
il ricorso alla deroga al principio dell'irretroattivita' nella ipotesi in cui
tale deroga valga a sanare gli effetti riflessi della dichiarata
incostituzionalita' di una norma, altrettanto non potrebbe valere qualora tale
deroga appaia finalizzata al raggiungimento di un maggior prelievo fiscale,
fine questo certamente non valutato nel contesto della pronuncia
d'incostituzionalita' del cumulo dei redditi. Una interpretazione strettamente
letterale della legge n. 114 del 1977 si porrebbe altresi' in contrasto con
gli artt. 24 e 113, primo comma, della Costituzione, dal cui combinato
disposto si ricaverebbe la rilevanza costituzionale conferita all'esigenza di
tutela del contribuente nei confronti degli atti dell'amministrazione
finanziaria. Aspetto fondamentale del diritto di difesa, valido anche nel
procedimento amministrativo di perfezionamento dell'atto impositivo, sarebbe
la conoscibilita' anticipata dei criteri di determinazione del presupposto di
fatto, conoscibilita' idonea a consentire al contribuente il pieno rispetto
delle norme tributarie e la consapevole opzione tra piu' alternative poste
nell'ambito della disciplina giuridica della fattispecie tributaria.Infatti,
ove il sistema di cumulo vigente nel 1975 non avesse consentito il computo
complessivo delle imposte sul reddito del nucleo familiare, si sarebbe evitata
la svalutazione di titoli posseduti dalla Societa' ___ dell'ing. ___ & C.,
che aveva dato luogo alla perdita compensata con il reddito del coniuge,
costituendo tale svalutazione un atto volontario e rimesso alla complessiva
stima dell'onere fiscale dovuto. Concludono i ricorrenti riproponendo, qualora
non dovesse essere accolta la interpretazione da loro sostenuta, le eccezione
di illegittimita' costituzionale della legge n. 114 del 1977 ( gia' sollevata
nei precedenti gradi del presente giudizio ), nella parte in cui consente,
indistintamente, la riapertura dei rapporti d'imposta pregiudicati e non
pregiudicati dal sistema del cumulo dei redditi.
Con il secondo motivo deducono i ricorrenti omessa, carente ed insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n.5 c.p.c.).
La Corte di merito avrebbe errato nel motivare la reiezione della eccezione di
incostituzionalita' delle norme della legge n. 114 del 1977, in quanto vi era
gia' stata una specifica pronuncia della Corte Costituzionale ( n. 76 del
23-24 marzo 1983 ) che aveva dichiarata non fondata la questione di
costituzionalita' di dette norme. Infatti, le norme costituzionali di cui si
lamentava la violazione sarebbero diverse da quelle rilevanti in questa sede e
diverse sarebbero le norme della legge n. 114 del 1977 delle quali era stata
denunciata l'incostituzionalita'.
Il ricorso e' infondato.
Questa Corte ha gia' risolto la questione oggetto del presente giudizio con la
sentenza n. 3590 del 4.4.1995, affermando che la riliquidazione d'ufficio
dell'imposta dovuta dai coniugi negli anni dal 1974 al 1976 prevista dalla
legge 13 aprile 1977 n. 114 - la quale, a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale n. 179/76 dichiarativa della illegittimita' costituzionale del
regime di cumulo dei redditi dei coniugi, ha introdotto il diverso sistema di
tassazione separata dei componenti del nucleo familiare - e' legittima,
ancorche' l'attuazione del "decumulo" comporti per i coniugi il pagamento di
maggiori imposte.
Tale conclusione merita di essere condivisa.
L'art. 19, primo comma, della legge 13 aprile 1977 n. 114 dispone che
l'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai coniugi relativamente
ai redditi posseduto nell'anno 1975 ( che e' l'anno di imposta che qui
interessa) si applica separatamente sul reddito complessivo netto di ciascuno
di essi a norma dei successivi articoli 20 e 21, mentre l'art. 23, terzo
comma, statuisce, prevedendone quindi la retroattivita', che le disposizioni
degli artt. 1, 19, 20 e 21 hanno effetto dall'1 gennaio 1975 relativamente ai
redditi posseduti da tale data. Si' chiara formulazione, come correttamente
osserva la sentenza n. 3590 del 1995 summenzionata, non consente di
distinguere la ipotesi in cui il decumulo ha effetti favorevoli da quella in
cui ha effetti sfavorevli per i coniugi, perche' comporta il pagamento di
maggiori imposte; ne' tale conclusione si pone in contrasto con la finalita'
perseguita dalla legge di introduzione di un regime impositivo che salvaguardi
la parita' di trattamento fiscale della donna coniugata con ogni altro
contribuente ed in particolare con il di lei marito e che eviti disparita' di
trattamento fiscale tra la famiglia legittima ( in precedenza penalizzata dal
cumulo dei redditi in conseguenza della progressivita' delle imposte sugli
stessi ) e quella di fatto. Ne' si puo' condividere l'assunto dei ricorrenti
che, qualora non si ritenga il meccanismo di riliquidazione retroattivo
limitato alla ipotesi in cui i coniugi ne abbiano un vantaggio, le norme che
lo prevedono si porrebbero in contrasto con i precetti costituzionali di cui
agli artt. 24 e 113, primo comma, della Costituzione. La normativa in esame,
infatti, non limita in alcun modo il diritto di difesa del contribuente,
restando integra la possibilita' di giovarsi di tutti i mezzi di tutela
previsti dall'ordinamento giuridico. Giova, infine, rilevare che la Corte
Costituzionale si e' piu' volte pronunciata nel senso della legittimita'
costituzionale delle leggi tributarie retroattive ( cfr. sentenze nn. 51/88,
494/91, 34/94, 314/94 ) , osservando, in sintesi, che l'art. 25 della
Costituzione pone il divieto della retroattivita' soltanto per le norme penali
e non anche per quelle tributarie e che l'art. 11 delle disposizioni sulla
legge in generale ( il quale dispone che la legge non ha effetto
retroattivo ), non avendo rango costituzionale, non impedisce al legislatore
di disporre diversamente. Cio' non esclude che una determinata legge
retroattiva possa essere costituzionalmente illegittima per contrasto con
l'art. 53 della Costituzione, se assume come presupposto di fatto del tributo
una situazione cosi' remota nel tempo da non poter essere razionalmente
considerata quale indizio rivelatore di una capacita' contributiva attuale.
Cosa questa, pero', che non si e' verificata nel caso di specie, essendosi,
invece, verificato un effetto negativo che non puo' ritenersi escluso ne'
dalla lettera ne' dalla ratio della normativa in esame.
Pertanto, il ricorso va respinto, dato che per le su esposte ragioni entrambi
i motivi di ricorso devono essere disattesi.
Nulla deve essere liquidato per le spese, non essendosi l'amministrazione
delle finanze, risultata vittoriosa, costituitasi in questo grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Cosi' deciso in Roma il 21 febbraio 1996.
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