Sentenza del 15/10/1994 n. 8423 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 1

Testo

                               Fatto  
Con atto 30 luglio 1979, ... acquisto' delle  quote  della  s.n.c.  ...  in  

misura pari al 20% del capitale sociale. Come e' incontroverso, quell'atto non
conteneva alcuna pattuizione particolare in relazione alla ripartizione tra
cedente e cessionario degli utili sociali relativi all'anno 1979.
Nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1979, il … imputo'
quale propria quota degli utili della societa' (pari a L. 65.869.000) il solo
importo di L. 9.143.000.
Con avviso in data 27 gennaio 1984, l'ufficio distrettuale delle imposte
dirette di Venezia, accerto', invece, nei confronti di quel contribuente, un
reddito da partecipazione sociale di L. 13.714.000, pari, appunto alla sua
quota del 20 per cento del capitale.
Il … propose impugnazione alla Commissione trbutaria di I grado in
Venezia, che l'accolse sulla base del principio che in caso di cessione di
quote di una societa' di persone nel corso del periodo di imposta, gli utili
sociali devono essere imputati ad entrambe le parti del negozio di
trasferimento, in proporzione alla rispettiva durata del periodo di
partecipazione alla societa'.
Con decisione 18 dicembre 1985, la Commissione tributaria di II grado di
Venezia, alla quale l'ufficio aveva proposto gravame, ha riformato la
pronuncia di primo grado in adesione alla tesi dell'impugnante secondo la
quale i redditi sociali devono essere imputati nella loro totalita' al
contribuente che risulti socio all'atto dell'approvazione del rendiconto.
Il … propose impugnazione ai sensi dell'art. 40 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, convenendo l'Amministrazione finanziaria dello Stato davanti
alla Corte d'Appello di Venezia, con atto di citazione notificato il 28 aprile

  1. L'Amministrazione appellata resistette al gravame.
    Con sentenza depositata il 5 maggio 1989, la Corte di Venezia ha accolto
    l'impugnazione e, per l'effetto, ha annullato l'avviso di accertamento,
    disponendo, altresi', la "riduzione" delle sanzioni ad esse correlative.
    La Corte territoriale ha affermato che nelle ipotesi quali quelle per cui
    e' processo, deve trovare applicazione il principio desumibile dall'art. 2289 del codice civile (per il quale, "nei casi in cui il rapporto sociale si
    scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto
    soltanto ad una somma che rappresenti il valore della quota. La liquidazione
    della quota e' fatta in base alla situazione patrimoniale della societa' nel
    giorno in cui si verifica lo scioglimento. Se vi sono operazioni in corso, il
    socio o i suoi eredi partecipano agli utili ed alle perdite inerenti alle
    operazioni medesime") il che comporta che, in concreto "al socio cessionario
    spettano esclusivamente gli utili prodotti a decorrere dalla data di cessione
  • onde nessun rilievo puo' avere al riguardo il fatto che gli utili vanno
    determinati a fine esercizio - e (che) solo nei limiti di tali utili
    spettantigli va determinato il suo reddito di partecipazione per l'esercizio
    annuale in corso al momento della cessione".
    Ne ha dedotto che tenuto conto del richiamato principio, il … aveva
    dichiarato un reddito addirittura superiore a quello effettivamente dovuto e
    che, pertanto, l'accertamento impugnato era nullo.
    L'Amministrazione finanziaria dello Stato ha proposto ricorso per
    cassazione sulla base di un motivo di annullamento.
    L'intimato …. non ha svolto attivita' difensiva.
    Diritto
    Nel suo unico mezzo d'annullamento l'Amministrazione ricorrente denuncia
    che la Corte di Venezia ha violato gli artt. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 2262, 2261, 2293 e 2289 del codice civile.
    In primo luogo, perche' il diritto agli utili sorge soltanto in capo al
    soggetto che e' socio al momento dell'approvazione del rendiconto, sicche',
    mentre nessun diritto in tal senso puo' vantare colui che in quel momento non
    sia piu' socio, il debito per tutti gli utili dell'esercizio sussiste nei soli
    confronti del soggetto che in quel momento ha la suddetta qualita'; salvi,
    comunque, i particolari rapporti interni tra il cedente ed il cessionario che,
    peraltro, sono irrilevanti nei confronti della societa' e, in ogni caso, in
    ordine alla controversia che ne occupa, dato che nella specie non risultano
    esservene stati.
    Indi, perche' nessun rilievo puo' avere, quanto meno nell'ambito
    tributario, la disposizione dell'art. 2289 del codice civile, non fosse altro
    perche' la stessa attiene all'ipotesi della modifica della compagine sociale
    per il venir meno di una dei soci, laddove nel caso che ne occupa si tratta
    della modifica della compagine sociale per il subentro di un socio ad un
    altro.
    La censura e' fondata.
    Secondo il correlato disposto degli artt. 5, 6, 7 e 52 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (sull'Irpef) gli utili netti conseguiti, nel periodo di
    imposta, da una societa' semplice, o in nome collettivo, o in accomandita
    semplice sono imputati, come entita' non frazionabile e nella misura
    risultante dal conto profitti e perdite (id est dal rendiconto debitamente
    approvato), a reddito dei soci che hanno diritto a percepirli in proporzione
    alla loro quota di partecipazione agli stessi, indipendentemente dalla loro
    effettiva percezione. Quindi, vengono imputati nella loro interezza ai soli
    soggetti che abbiano la qualita' di socio all'atto dell'approvazione del
    rendiconto.
    Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'Appello di
    Venezia, ove, nel corso dell'esercizio sociale di una delle suddette societa'
    di persone si verifichi il trasferimento della posizione di socio mediante la
    cessione ad un terzo della partecipazione sociale, la quota di utili deve
    essere imputata per intero al cessionario (che sia ancora socio al momento
    dell'approvazione del rendiconto) e non gia' ad entrambi i soci (il cedente ed
    il cessionario) in misura proporzionale.
    La conclusione, fondata sul dettato normativo, e' ribadita da esigenze
    logiche, pratiche e sistematiche che giustificano appieno l'anzidetta
    disciplina.
    Infatti, non si individua un idoneo criterio per la ripartizione degli
    utili tra il cedente ed il cessionario, non essendo a tal fine sufficiente ed
    appagante il ricorso alla semplicistica ripartizione secondo la durata del
    periodo di partecipazione alla societa': tanto e' reso plasticamente palese,
    proprio con riferimento al caso in esame, dalla constatazione che la Corte di
    Venezia, applicando il metodo qui disatteso, e' pervenuta a riconoscere come
    imputabile al … una quota di utili addirittura inferiore a quella che lo
    stesso contribuente aveva ammesso come a lui imputabile.
    Inoltre, come e' stato giustamente osservato, la produzione del reddito da
    parte della societa', seppure progressiva, non e' continua ed uniforme nel
    tempo, e quindi, non e' possibile procedere ad una quantificazione frazionata
    corrispondente all'effettiva produzione del reddito stesso.
    Nel contempo, la misura della quota del socio uscente ceduta nel corso
    dell'anno non e' determinabile in relazione alla parte di redditi
    dell'esercizio annuale maturata alla data del trasferimento, sia perche' e'
    possibile che in quel momento il reddito sia del tutto negativo per poi essere
    incrementato dalla capacita' commerciale del nuovo socio, il che vale, con le
    necessarie variazioni, anche con riferimento alla posizione del nuovo socio; e
    sia perche' e' affatto verosimile che nelle condizioni della cessione sia
    contemplata e computata l'incidenza dell'onere tributario gravante per intero
    sul cessionario secondo la normativa tributaria qui accolta, con la
    conseguenza, che nei rapporti tra cedente e cessionario la stessa disciplina
    finisce coll'essere neutra o, comunque, ovviabile senza alcun pregiudizio per
    il cedente.
    D'altra parte, la normativa tributaria qui delineata appare coerente ai
    principi civilistici positivi in tema di attribuzione degli utili ai soci
    delle societa' di persone allorche' si consideri che, sulla loro base, il
    relativo diritto matura (nel senso che sorge e si perfeziona) solo
    coll'approvazione del rendiconto. Di tanto, infatti, consegue che ove nel
    corso dell'esercizio sociale un socio abbia trasferito ad altri la sua quota
    di partecipazione alla societa', costui non puo' aver alcun diritto agli
    utili, proprio perche' nel momento in cui quel diritto sorge, non essendo piu'
    socio, non ha nemmeno il diritto di credito alla separazione dal patrimonio
    della societa' dell'entita' monetaria corrispondente ad una quota di utili,
    che costituisce estrinsecazione della qualita' di socio; e che,
    correlativamente il diritto l'intera quota di utili compete soltanto al
    cessionario che sia socio nel detto momento, in capo al quale, per quanto si
    e' detto quel diritto matura.
    Ne' vale, in contrario, il richiamo al dettato dell'art. 2289 del codice civile, posto che la sua disciplina, o quanto meno il principio ad esso
    sotteso, non possono trovare applicazione ai fini della soluzione della
    questione della quale si tratta, stante la netta diversita' della situazione
    considerata in detta norma rispetto a quella che qui rileva: l'art. 2289 del codice civile attiene all'ipotesi dello scioglimento del rapporto sociale
    limitatamente ad un socio senza il subentro di altro socio, ed ha per oggetto
    la disciplina della liquidazione della sua quota, e - proprio perche' non v'e'
    una continuita' nella partecipazione sociale sia pure attraverso la
    costituzione di un socio con un altro - non puo' che essere risolta alla sola
    stregua della situazione patrimoniale della societa' nel giorno in cui si
    verifica lo scioglimento; di contro, il tema che ne occupa attiene alla
    semplice identificazione del soggetto che ha diritto agli utili nell'ipotesi
    del mutamento della composizione della compagine sociale per effetto del
    trasferimento della posizione di socio durante il corso dell'esercizio sociale
    e prima dell'approvazione del rendiconto.
    Si deve ribadire, percio', che, come } stato denunciato nel ricorso
    dell'Amministrazione finanziaria dello Stato, la statuizione della Corte di
    Venezia e' fondata su un principio erroneo e non condivisibile.
    Ne discende che occorre accogliere il motivo ed il ricorso; cassare la
    sentenza impugnata e rinviare ad altro giudice di pari grado - che si
    determina in altra Sezione della stessa Corte d'Appello di Venezia - per il
    nuovo giudizio sulla base del principio che, ai sensi e per gli effetti di cui
    all'art. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 contenente l'istituzione e la
    disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, nell'ipotesi che
    nel corso di un esercizio sociale di una societa' in nome collettivo si sia
    verificato il mutamento della composizione della compagine sociale con il
    subentro di un socio nella posizione giuridica di altro, i redditi della detta
    societa' devono esser imputati esclusivamente al contribuente che sia socio al
    momento dell'approvazione del rendiconto (e, quindi, al socio subentrante)
    proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, e non gia' al
    socio uscente ed a quello subentrante attraverso una ripartizione in funzione
    della durata del periodo di partecipazione alla societa' nel corso
    dell'esercizio.
    Il giudice del rinvio provvedera' anche alla disciplina delle spese del
    giudizio di cassazione.
    P.Q.M.
    La Corte suprema di Cassazione accoglie il ricorso proposto
    dall'Amministrazione finanziaria dello Stato avverso la sentenza della Corte
    d'Appello di Venezia del 5 maggio 1989; cassa la sentenza impugnata e rinvia,
    anche per la disciplina delle spese del giudizio di cassazione, ad altra
    Sezione della Corte d'Appello di Venezia.

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