Ordinanza del 23/02/2023 n. 5578 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Ritenuto che:
- il ricorrente propone tre motivi di impugnazione avverso la sentenza indicata in epigrafe che, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato l'appello dallo stesso proposto e accolto l'originario ricorso proposto dalla società odierna controricorrente avverso gli avvisi di accertamento per omesso o infedele pagamento della TARI relativa agli anni 2014 e 2015;
- la CTR, per quello che ancora rileva nel presente giudizio ha affermato che:
- preliminarmente le aree destinate alla produzione di rifiuti speciali oggetto del giudizio erano state oggetto comunicazioni accompagnate da documentazione catastale e su tale questione non c'era stata contestazione tra le parti;
- risultava certa la superficie tassata corrispondente all'area di produzione dei rifiuti urbani soggetti a privativa dell'ente comunale;
- nel merito, i rifiuti di imballaggi terziari non possono essere assimilati ai rifiuti urbani, mentre quelli secondari lo possono essere solo ove sia stata attuata la specifica raccolta differenziata;
- nella specie la società ha dimostrato di avere conferito i rifiuti di imballaggi (secondari e terziari) integralmente ad una società di smaltimento e recupero, mentre l'appellante non ha dimostrato di avere attuato la raccolta differenziata idonea all'assimilazione di tali rifiuti a quelli urbani;
la controricorrente si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all'art. 1, comma 649, della L. n. 147 del 2013, all'art. 184, comma 3, dell'art. 221, comma 4, e del D.Lgs. n. 152 del 2006 art. 226, perché la sentenza impugnata non ha ritenuto conferibili i rifiuti da imballaggio, nonostante l'avvenuta assimilazione; in proposito richiama l'art. 11 del regolamento comunale Tarsu, approvato con delibera del 28 febbraio 2002, la cui interpretazione condurrebbe alla conclusione che anche i rifiuti da imballaggio terziario e secondario possono essere conferiti al servizio comunale di raccolta dei rifiuti. A sostegno di tale affermazione deduce che l'art. 226, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006 consentirebbe la possibilità di assimilazione di tali imballaggi entro i limiti determinati dall'art. 195, comma 2, lett, e), del D.Lgs. n. ora citato.
1.1. Il motivo è infondato. Occorre premettere in fatto che gli avvisi di accertamento relativi al tributo TARI riguardano un opificio industriale di imbottigliamento di acqua minerale sito nel comune di (Omissis), esteso per una superficie incontestata di mq. 15810 + mq 4200.
Sul diverso profilo del quadro normativo, si deve, altresì, premettere che il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall'art. 49 del D.Lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto Ronchi) questa, a sua volta, dalla TIA2 (tariffa integrata ambientale), di cui all'art. 238 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), e a sua volta sostituita dalla TARES (art. 14 del 6 dicembre 2011, n. 201 del 2011, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) e, infine, dalla TARI (tassa rifiuti) - tributo che è una componente dell'imposta unica comunale (IUC) insieme con l'imposta municipale propria (IMU) e il tributo per i servizi indivisibili (TASI) - istituita dalla legge di stabilità per l'anno 2014 (art. 1, comma 639 e ss., L. n. 147 del 2013).
1.2. Il presupposto della TARI (art. 1, comma 641, L. n. 147 del 2013) è "il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'art. 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva".
La TARI è dovuta "da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani" (art. 1, comma 641, L. cit.).
Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI (art. 1, comma 649 L. cit.) "non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione".
E' stato da tempo chiarito che tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, in quanto la norma pone una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell'area, disponendo, inoltre, che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte "nella denuncia originaria" o in quella "di variazione", e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. n. 31460 del 2019, Rv. 656023 - 01). La TARI sostituisce, quindi, a decorrere dal 10 gennaio 2014, quelli preesistenti dovuti al Comune da cittadini, enti ed aziende quale pagamento corrispettivo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
1.3. In relazione alle diverse tipologie di rifiuti oggetto di tassazione, il D.Lgs. n. 507 del 1993, all'art. 60, aveva equiparato ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti da attività artigianali, commerciali e di servizi che fossero dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani interni dai comuni con apposito regolamento, mantenendo il regime convenzionale per i rifiuti speciali non equiparabili. Successivamente l'art. 39 della L. n. 146 del 1994, ha abrogato il sopra citato art. 60, disponendo l'assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali "indicati al n. 1, punto 1.1.1, lettera a), della Deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del citato decreto del 1982, nonché gli accessori per l'informatica".
In tal modo venivano assimilati ai rifiuti urbani sostanzialmente tutti i rifiuti speciali, esclusi quelli ospedalieri e quelli tossici e nocivi di cui all'art. 2, comma 4, punto 2, e comma 5 del predetto decreto del 1982, non incisi, dalla richiamata delibera interministeriale.
Ne conseguiva che, con l'introduzione di tale nuovo regime, sull'assimilabilità o meno dei rifiuti speciali non poteva interferire l'apprezzamento discrezionale dei Comuni. L'auto smaltimento anche in regime di convenzione, menzionato all'art. 39, n. 2, della L. 146 del 1994, riguardava, infatti, esclusivamente le ultime tre categorie predette.
L'assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, è venuta meno con l'abrogazione del suddetto art. 39 per effetto dell'introduzione della disposizione di all'art. 17 della L. n. 128 del 1998. La conseguenza è stata la piena operatività del D.Lgs. n. 22 del 1997, sulla TIA, i cui artt. 7 e 21 prevedevano la necessità di un provvedimento dell'ente impositore di assimilazione, per quantità e qualità, ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali derivanti da attività commerciali, industriali e di servizi ex art. 21, sulla base dei criteri di cui all'indicata Delibera del 27.7.1984 comma 2, lett. g), cit. (Cass. n. 18988 del 2019, Rv. 654517 01, Cass. n. 1040 del 2023).
L'attribuzione ai comuni del potere di deliberare in ordine alla individuazione dei rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani e, dunque, di assoggettare i primi a tassazione non è, comunque, venuta meno per effetto del successivo D.Lgs. n. 152 del 2006.
Prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 116 del 2020, infatti, secondo quanto previsto dall'art. 184, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006, rientravano nella definizione di rifiuti urbani, sia i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione, sia i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, (7 ai sensi dell'art. 198, comma 2, lett. g), del D.Lgs. cit.
Tale ultima disposizione attribuiva ai Comuni il potere di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani; potere da esercitare nel rispetto di criteri, qualitativi e quantitativi, individuati a livello statale, ai sensi dell'art. 195, comma 2, lett. e) D.Lgs. cit.
La mancata individuazione dei predetti criteri, dovuta alla carente legiferazione statale, ha indotto i comuni ad esercitare la propria podestà regolamentare di assimilazione sulla base dei criteri generali stabiliti dalla Deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984 fermo l'obbligo, ai fini della legittimità delle relative delibere comunali di assimilazione, dell'indicazione dei criteri quantitativi.
1.4. Una disciplina particolare, invece, è prevista per i rifiuti da imballaggio, oggetto del presente giudizio, regolati dal Titolo 2 (Gestione degli imballaggi) del D.Lgs. n. 22 del 1997, il cui art. 34 dispone che la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata "sia per prevenirne e ridurne l'impatto sull'ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza, ai sensi della direttiva 94/62/CE".
Il successivo art. 35 prevede che: "a) gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da "un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore"), secondari o multipli (quelli costituiti dal "raggruppamento di un certo numero di unità di vendita") e terziari (quelli concepiti "in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli").
Ai sensi dell'art. 38, poi, "i produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti; oltre ai vari obblighi in tema di raccolta, riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggio, sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per - fra l'altro - la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari. L'art. 43 prevede che "dal 1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all'utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata".
In relazione al quadro normativo ora descritto il Collegio condivide l'orientamento di legittimità prevalente, secondo cui dalla lettura del Titolo 2 del D.Lgs. n. 22 del 1997, cd. decreto Ronchi, si ricava che i rifiuti di imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro "gestione", termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento (art. 38 cit.). Detto principio vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, e, dunque, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale. Essi, pertanto, devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art. 21, comma 7, D.Lgs. n. 22 del 1997.
In ogni caso, i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell'esercizio del potere ad essi restituito dall'art. 21 del cd. decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39.
Ne consegue che i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario (in questo senso già Cass. n. 627/2012, Rv. 621368 - 01, n. 4793/16, Rv. 639127 - 01, n. 703/2019, Rv. 652499 - 01; 4960/2018, Rv. 649761 - 01; da ultimo Cass. n. 10010/2019, Rv. 653536 - 01, Cass. n. 22980/2021).
La mancata assimilazione non equivale, tuttavia, ad una totale esenzione, in quanto a tali categorie di rifiuti si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, (Cass. n. 4960/2018, Rv. 649761 - 01). Potranno essere, pertanto, escluse dalla superficie imponibile quelle parti dell'immobile nelle quali il contribuente provi essere esclusivamente prodotti gli imballaggi medesimi (Cass. n. 627/2012, Rv. 621368 - 01, cit.).
Nel caso di imballaggi secondari è, poi, previsto dall'art. 21, comma 7, del cd. decreto Ronchi l'esonero dalla privativa comunale in assenza di raccolta differenziata da parte dell'ente locale e qualora sia provato l'avviamento al recupero.
In tal caso, l'operatore economico ha l'onere di dimostrare l'effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione comprovante il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997.
1.5. Nel caso in esame la sentenza impugnata, per quanto attiene agli imballaggi secondari, ha appurato che l'ente, oggi odierno ricorrente, non ha dimostrato di avere attivato la raccolta differenziata, con la conseguenza che nella fattispecie i rifiuti da imballaggi secondari e terziari devono essere assoggettati alla disciplina del D.Lgs. n. 22 del 1997.
Da quanto esposto deriva che la riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera, pertanto, anche per quei particolari 'rifiuti specialì costituiti dagli imballaggi secondari e terziari (come nel caso della presente fattispecie), non assimilati, nè ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari (in questo senso v. Cass. n. 8222 del 2022).
E' da ribadire, poi, sotto il profilo della determinazione dell'imposta, il principio per cui agli imballaggi terziari, nonché agli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, si applica appunto la disciplina di cui all'art. 62, comma 3, del D.Lgs. n. 507 del 1993. Tale disposizione rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l'esclusione dalla tassa della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass. n. 4793/2016, Rv. 639127 - 01, n. 5377 del 2011; Cass. n. 4793 del 2015; Cass. nn. 4792 e 4793 del 2016, principio affermato con riguardo, sia alla Tarsu, sia alle sue varianti Tia1 e Tares, assoggettate a linea normativa di continuità v. anche Cass. n. 2373 del 2022).
Per quanto finora esposto deve, quindi essere respinto il primo motivo di ricorso, in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto correttamente non conferibili i rifiuti da imballaggio, nonostante l'avvenuta assimilazione. Nella specie, infatti, si tratta di imballaggi secondari e terziari, non assimilabili ai rifiuti solidi urbani per le ragioni sopra esposte.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione della L. n. 147 del 2013 art. 1, comma 649, , all'art. 184, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006. Contesta la decisione che ha disposto l'integrale detassazione dei locali, nonostante la produzione contestuale di rifiuti urbani assimilati, sul presupposto dell'esonero, avendo la società conferito i rifiuti a soggetti terzi, sia pure in difetto di specificazione degli Spa zi occupati.
Deduce, da un verso, che il regolamento comunale Tarsu ha provveduto alla rituale assimilazione dei rifiuti provenienti da utenze non domestiche e, nell'ambito dell'assimilazione organica, ha fatto rientrare anche i rifiuti da vetro che non possono essere considerati, nè come imballaggi terziari, nè secondari. Considerando che l'attività esercitata dalla società è di imbottigliamento, deduce che la maggiore produzione di rifiuto.\� per imballaggi in vetro primari e quindi di rifiuto assimilabile e assimilato.
Sotto altro versante deduce che specifiche disposizioni normative attribuiscono agli enti locali la podestà regolamentare di stabilire percentuali di riduzione per le superfici destinate alla contestuale produzione di rifiuti speciali non assimilati e di rifiuti speciali assimilati agli urbani, in tutti i casi, come quello di specie, in cui non siano state distinte le superfici che possono beneficiare dell'esclusione dal tributo. Al contribuente spetta l'onere di fornire all'amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza e delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilati a quelli urbani. Nel caso in esame, dalla documentazione fornita dalla società non risultano specificate le superfici nelle quali vengono prodotti solo rifiuti non assimilati e non assimilabili.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all'art. 1, commi 650 e 651 della L. n. 147 del 2013, per avere i giudici di secondo grado totalmente esentato la società anche con riferimento alla quota fissa.
4. I restanti due motivi, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente e meritano accoglimento nei termini di seguito esposti.
La giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare l'accollo in capo al contribuente dell'onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie, in particolare, la natura speciale dei rifiuti, l'entità della superficie di loro produzione; l'auto smaltimento (Cass. n. 22130/2017, Rv. 645621 - 01, n. 12979/2019, Rv. 653733 - 01, n. 21335/2022, Rv. 665315 - 01, analogamente Cass. n. 2373/2022, Rv. 663744 - 01 per Tares e Cass. n. 34635/2021, non massimata, per Tari).
In tal senso è stato affermato che: "pur operando anche nella materia in esame, per quanto riguarda il presupposto dell'occupazione di aree nel territorio comunale, il principio secondo cui spetta all'amministrazione l'onere della prova dei fatti costitutivi dell'obbligazione tributaria, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell'interessato (oltre all'obbligo della denuncia ex art. 70 del citato D.Lgs. n. 507 del 1993) un onere d'informazione, al fine di ottenere l'esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, che integra un'eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale." (Cass. n. 16235/2015, Rv. 636107 - 01).
Costituisce principio di legittimità condiviso dal Collegio, quello per cui è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell'Amministrazione, che tali aree producono "solo" rifiuti speciali, e solo all'esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l'esenzione del pagamento della quota variabile della TIA (Cass. n. 7181 del 2021).
Si è inoltre stabilito (Cass. n. 14038/2019, Rv. 654120 - 01; Cass. n. 5360/2020, Rv. 657343 - 01 ed altre) che il tributo, da applicarsi, ex art. 49, comma 3, D.Lgs. n. 22 del 1997, "a chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale", è strutturato in una parte variabile ed in una parte fissa (art. 49, comma 4, D.Lgs., cit.), in modo che:
- il presupposto impositivo della parte variabile della tariffa (sempre che sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio di raccolta e smaltimento) va individuato nella produzione di rifiuti urbani o assimilati, ferma restando la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione di questa parte variabile nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti (art. 49, comma 14, D.Lgs. n. 22 del 1997); per contro, la quota variabile della tariffa non è dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati, e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate;
- la parte fissa della tariffa è invece dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, essendo essa destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell'interesse dell'intera collettività (dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall'oggettiva volontaria fruizione del servizio comunale, purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività); si tratta di costi ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all'interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass. n. 5360 del 2020 cit.; Cass. n. 7181 del 2021 cit.). 5. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha categoricamente escluso l'assoggettabilità alla TARI dell'intera superficie dell'opificio, desumendo l'illegittimità degli atti impositivi opposti e la non debenza del tributo, solamente in ragione del fatto che la società aveva provato in giudizio di produrre rifiuti speciali (imballaggi secondari e terziari) e si è palesemente discostata dai principi che precedono, non avendo operato alcuna distinzione tra le diverse tipologie e quantità di rifiuti, senza considerare che:
a) la comprovata produzione di rifiuti speciali in una porzione, per quanto estesa, dell'insediamento produttivo non escludeva, nè logicamente, nè giuridicamente, la produzione nello stabilimento 'anché di rifiuti urbani ordinari; produzione che non doveva essere dimostrata ad onere dell'ente impositore, in quanto ex lege ricollegata al solo ed obiettivo fatto materiale della detenzione dei locali, secondo quanto su richiamato;
b) è necessario individuare con esattezza (con onere probatorio a carico della stessa società contribuente che intendeva in tal modo fruire del regime speciale di favore) le superfici esentate dall'imposizione in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell'ordinario ciclo di privativa comunale;
c) l'intera superficie dell'opificio concorreva senza riduzione o esenzione di sorta al pagamento della quota fissa del tributo, in ragione, come detto sopra della diversa finalità di quest'ultima.
Il giudice di appello è, pertanto, incorso in errore logico giuridico nell'attribuire effetto esonerativo totale all'avvenuta dimostrazione della produzione, nel locale della società controricorrente, di rifiuti speciali non assimilati nè assimilabili, in quanto imballaggi secondari e terziari, nonché dello smaltimento in proprio degli stessi.
Deve affermarsi, invece, che non è ammissibile l'esclusione della superficie dell'intero opificio destinato ad attività industriale con riferimento al computo della parte fissa della tassa in questione, trattandosi di superficie potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, e ciò a prescindere dalla mancata produzione in concreto degli stessi e dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato; è, viceversa, ammissibile l'esclusione del versamento della parte variabile ogniqualvolta in cui il contribuente sia in grado di dimostrare la mancata produzione su quella determinata superficie di rifiuti conferibili a smaltimento o la produzione esclusiva di rifiuti speciali, non assimilati o assimilabili (in questo senso Cass. n. 8089 del 2020, n. 8222 del 2022).
6. Segue il rigetto del primo motivo e l'accoglimento dei restanti due motivi.
L'impugnata decisione deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo, in diversa composizione, che, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà, sulla base dei documenti prodotti o producibili, alle necessarie verifiche e valuterà se la contribuente abbia o meno assolto gli oneri d'informazione e di prova su di essa incombenti per l'ottenimento dell'esenzione parziale sulle aree oggetto del giudizio e deciderà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il primo motivo, accoglie i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo, in diversa composizione, per la decisione anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2023
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