Sentenza del 20/06/2019 n. 16557 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

Svolgimento del processo

1. L.M.M. impugnava l'avviso di vendita del bene immobile di sua proprietà e la conseguente iscrizione ipotecaria disposta dall'Agenzia della riscossione, in ragione dell'omesso pagamento di 4 cartelle esattoriali relative a tributi erariali, contributi previdenziali e contravvenzioni al C.d.S., assumendo, tra l'altro, l'omessa notifica delle cartelle prodromiche e dell'intimazione di pagamento, nonché della stesa iscrizione ipotecaria.

La CTP di Bologna rigettava il ricorso. Proposto appello da parte del contribuente, la CTR dell'Emilia Romagna lo accoglieva sul rilievo che il contribuente aveva disconosciuto la conformità degli estratti di ruolo prodotti in copia agli originali non versati in atti, ritenendo che la concessionaria avesse operato in assenza di un valido titolo esecutivo.

Ricorre la società Equitalia Centro, sulla base di quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 68/11/13 depositata l'1.07.2013, emessa dalla, C.T.R. dell'Emilia Romagna.

Il contribuente non si è costituito in giudizio.

Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

2. Con il primo motivo la concessionaria denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il decidente omesso di pronunciarsi sul difetto di giurisdizione con riferimento alle cartelle relative alle violazioni del C.d.S. ed ai 'contributi previdenziali, in ordine alle quali la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, restando attribuita al giudice tributario la giurisdizione in merito ai crediti di natura tributaria.

3. Con la seconda censura si lamenta la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4) per avere il giudicante ritenuto che il contribuente avesse disconosciuto la conformità delle copie della documentazione prodotta agli originali, nonostante il predetto si fosse limitato a contestare " la mancata produzione in giudizio degli originali, delle relate di notifica delle cartelle e " la non conformità a quanto espressamente richiesto afferente la documentazione versata in atti", lamentando che l'Agenzia della Riscossione non aveva prodotto le copie delle cartelle, delle intimazioni, della comunicazione dell'iscrizione ipotecaria e delle.relate ma solo copia degli estratti di ruolo formati dall'Agente della riscossione e fotocopie delle relazioni di notificazioni.

4. Con la terza censura si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2714, 2715, 2717, 2719 c.c. nonché della L. n. 15 del 1968, art. 14 e del D.L. n. 669 del 1996, art. 5 e del D.M. n. 321 del 1999, per avere la Commissione di secondo grado ritenuto che le copie degli estratti di ruolo prodotte dal concessionario non avessero valenza probatoria, benché la concessionaria avesse prodotto le copie conformi agli originali con relativa sottoscrizione e timbro dell'Agente della Riscossione oltre all'asseverazione ex art. 5 citato, che in quanto.tali fanno piena prova dell'originale.

5. Con il quarto mezzo, si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato discusso tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5), avendo il decidente erroneamente ritenuto che il contribuente avesse operato il disconoscimento e che avesse prodotto mere copie degli estratti anziché copie autentiche degli originali.

6. La prima censura è destituita di fondamento.

5. L'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione "\� rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato 'e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando a relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito.

Il giudicato interno sulla giurisdizione si forma - dunque - tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicché non può validamente prospettarsi l'insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all'esito del giudizio di secondo grado, perché tale questione non dipende dall'esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal "petitum" sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice (S.U. n. 10265/2018; S.U. N. 28503 del 2017; S.U. n. N. 4109 del 2007; Cass. n. 24483/2008; n. 6966/2013; S.U. n. 29/2016; n. 28503/2017; n. 10265/2018).

Pertanto, in mancanza di impugnazione del capo della sentenza di primo grado avente ad oggetto l'implicito riconoscimento della propria giurisdizione su tutte le cartelle, la prima censura soggiace alla declaratoria di inammissibilità.

7. La seconda censura è fondata, assorbita la quarta.

La questione relativa alle modalità con cui si contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell'art. 2719 c.c., sul presupposto che la parte non può limitarsi a negare efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve contestare le specifiche difformità (Cass. n. 23902/2017; 16998 del 2015; Cass. n. 21003 del 2017), esige la trascrizione delle eccezioni di disconoscimento dedotta dal contribuente, al fine di consentire al giudice di legittimità di verificare la sussistenza della violazione di legge dedotta e, dunque, la correttezza delle argomentazioni del decidente.

8. Ebbene dalla trascrizione del ricorso originario e dell'appello, risulta che in primo grado il contribuente chiedeva "il deposito delle copie delle cartelle e degli originali delle relate"; nella memoria illustrativa del primo grado lamentava "la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità a quanto espressamente richiesto"; nel ricorso in appello lamentava che l'Agenzia della riscossione non avesse prodotto quanto richiesto, vale a dire le copie delle cartelle correlate dagli originali delle retate, copie dell'intimazione di pagamento e della comunicazione dell'iscrizione ipotecaria, avendo essa prodotto solo le copie degli estratti di ruolo formati dall'Agenzia, fotocopie delle relazioni di notificazione, dell'intimazione di pagamento, dell'iscrizione ipotecaria e delle relate prive di sottoscrizione del ricevente.

Nella parte in fatto della sentenza, la CTR esponeva che il contribuente aveva contestato l'operato dei primi giudici i quali, pur avendo verificato che l'ufficio non aveva presentato gli atti richiesti in originale come la norma impone, avevano ritenuto corretta la procedura seguita dall'Agenzia, benché questa non avesse depositato le cartelle di pagamento ma solo estratti di ruolo in carta semplice neppure autenticati. Atti che, ad avviso dell'appellante, non potevano assurgere al valore di prova e che non consentivano alla parte di poter far valere i propri diritti ex art. 2719 c.c., vale a dire di poter effettuare il disconoscimento della conformità delle copie agli originali.

Appare evidente che nella fattispecie, il contribuente non ha operato alcun disconoscimento della conformità delle copie agli originali, lamentandosi invece di non poter esercitare i diritti di cui all'art. 2719 c.c. in assenza della produzione degli originali.

9. L'art. 2719 c.c. esige, difatti, l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche: conseguentemente, la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico ed inequivoco (Cass. n. 882/2018; n. 4053/2018; n. 13425/2014) 10. Peraltro, pur a voler ammettere implicitamente formulato dal contribuente il disconoscimento della conformità delle copie degli atti agli originali, non va trascurato che è privo di efficacia il generico disconoscimento della conformità tra l'originale e la copia fotostatica prodotta in giudizio.

Perché possa aversi, infatti, disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che - pur nel silenzio della norma predetta, che non richiede forme particolari - evidenzi in modo chiaro ed inequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all'originale di cui si assume sia copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell'efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 30/12/2009 in tema di applicazione dell'art. 2719 c.c.).

Il disconoscimento deve quindi ad es. contenere l'indicazione delle parti il cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all'originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale. In tale direzione questa Corte dì seguito - in via preferenziale rispetto a diverso orientamento - alla giurisprudenza (v. Cass. n. 27633/2018; n. 29993 del 13/12/2017, n. 12730 del 21/06/2016, n. 7775 del 03/04/2014 e altre) secondo la quale la contestazione della conformità all'originale di un documento prodotto in copia non possa avvenire con clausole di stile e generiche, ma vada operata - a pena di inefficacia - in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale.

11. Parimenti fondata è la terza censura.

Ciò in quanto l'esattore, pur non rientrando tra i "pubblici depositari" - cui la legge attribuisce la funzione di tenere gli atti a disposizione del pubblico, e che sono obbligati, ex art. 743 c.p.c., a rilasciare copia degli atti anche a chi non ne è parte - è tuttavia un "depositario" del ruolo, datogli in consegna dall'intendente di finanza (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 24), ed inoltre è autorizzato a rilasciarne copia, ai sensi della L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 14, secondo cui l'autenticazione delle copie, anche parziali, può essere fatta dal pubblico ufficiale presso il quale è depositato l'originale (Cass., n. 25962 del 05/12/2011).

Conclusivamente vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, respinto il primo ed assorbito il quarto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR dell'Emilia Romagna, in diversa composizione, che dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR dell'Emilia Romagna, in diversa composizione, che dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2019

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