Sentenza del 23/04/1987 n. 3935 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio Sezioni unite

Testo

Svolgimento del processo Il Tribunale di … con sentenza in data 28
febbraio 1985, riformava la decisione adottata da quel pretore nella
controversia vertente tra i residenti indicati in epigrafe e gli Stati
Uniti d'America, quali utenti della Naval Air Facility in contrada
………, in base alla Convenzione tra gli Stati partecipanti al trattato
dell'Atlantico del Nord, ratificato con la legge 30 novembre 1955, n. 1335,
sui rilievi seguenti:
1) che gli attori, tutti dipendenti dal comando territoriale suddetto,
avevano percepito sino al 31 dicembre 1981 la retribuzione loro dovuta al
lordo della ritenuta d'acconto di cui all'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600;
2) che l'Intendenza di finanza di … aveva intimato al comando suddetto di
operare la ritenuta d'acconto sulle retribuzioni corrisposte, a iniziare dal
1 gennaio 1982;
3) che gli attori, pertanto, avevano subito obiettivamente, una diminuzione
della retribuzione convenuta, onde avevano diritto ad averla aumentata nella
stessa misura in cui la ritenuta d'imposta aveva inciso a loro danno.
Da qui il ricorso degli U.S.A. e il controricorso degli attori.
Motivi della decisione Lo Stato ricorrente, coi quattro motivi di
cassazione proposti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.
53 Costituzione, 23 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 47 e 95 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602,
dell'art. 9 della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, resa esecutiva
con la legge 30 novembre 1955, n. 1335, dell'art. 8 dell'accordo di Parigi
del 26 luglio 1961, reso esecutivo col DPR 18 settembre 1962 n.2083,
dell'accordo di Roma del 24 luglio 1982, ratificato con la legge 4 agosto 1984 n. 484, oltre che emessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
circa piu' punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360, nn.
3 e 5 c.p.c., ha sostenuto che il Tribunale aveva errato:
I) nell'aver stabilito che la ritenuta di acconto operata sulle retribuzioni
corrisposte ai dipendenti costituiva una diminuzione obiettiva della
retribuzione, che doveva essere integrata da un aumento pari all'importo
della ritenuta fiscale, spostando, cosi', sul datore di lavoro l'onere
tributario che l'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 pone per contro
a carico dei prestatori di lavoro;
II) nell'aver dato una motivazione contraddittoria sul punto, perche', pur
avendo ammesso che la trasposizione d'imposta dall'uno all'altro soggetto
era illegittima, cio' nonostante aveva ritenuto che le conseguenze di tale
spostamento avrebbero dovuto cadere sul datore di lavoro;
III) nell'aver ritenuto che il datore di lavoro, avendo corrisposto sempre
la retribuzione al lordo della ritenuta d'acconto, era obbligato, di
conseguenza, ad aumentarla in forza dell'art. 22 della dichiarazione
congiunta del 17 luglio 1957, con cui l'Italia e gli U.S.A., in esecuzione
dell'art. 9 della Convenzione di Londra, avevano stabilito che le
retribuzioni del personale a statuto locale sarebbero state rivedute
periodicamente per adeguarle "agli usi e alla prassi prevalenti nella zona
d'impiego e di residenza del personale";
IV) nell'aver ritenuto che l'accordo ulteriore stipulato tra l'Italia e gli
U.S.A. in data 24 luglio 1982 con cui questi ultimi avevano accettato di
accollarsi l'onere tributario dei loro dipendenti nei confronti
dell'Amministrazione finanziaria italiana per le ritenute d'acconto non
versate a norma dell'art. 7 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, costituiva
un comportamento concludente circa l'impegno preso coi dipendenti, di non
eseguire nei loro confronti la ritenuta d'acconto anche per il futuro.
Le doglianze suddette, essendo intimamente connesse, possono essere
esaminate congiuntamente.
Esse sono fondate.
Deve rilevarsi, anzitutto che, in punto di fatto, e' rimasto accertato;
I) che l'Amministrazione finanziaria italiana aveva notificato gli avvisi
d'accertamento per l'evasione delle ritenute d'acconto suddette sia agli
U.S.A. che ai lavoratori resistenti dopo un lasso di tempo notevole,
intercorso tra il sorgere dell'obbligo tributario e l'accertamento delle
violazioni commesse;
II) che gli U.S.A. avevano corrisposto le retribuzioni ai loro dipendenti al
lordo delle ritenute fiscali, perche' non avevano fatto distinzione, per
errore di diritto, tra personale a statuto speciale (esente da imposta) e
personale a statuto locale (soggetto invece a imposta IRPEF iure civitatis).
Da tali accertamenti di fatto il Tribunale ha tratto la conseguenza, tanto
erronea quanto arbitraria, che tra le parti in causa era intervenuto un
accordo in frode alla legge circa le corresponsione delle retribuzioni
dovute al lordo delle ritenute d'acconto, e, pur avendo riconosciuto
illecito tale patto, ha ritenuto, tuttavia, che esso avrebbe dovuto avere
esecuzione, perche' le retribuzioni assoggettate all'imposta suddetta erano
diminuite oggettivamente nel loro ammontare.
La contraddittorieta' di tale motivazione consiste, in particolare, nel non
aver tenuto conto che la diminuzione della retribuzione non era un fatto
addebitabile al datore di lavoro, bensi all'intervento dello Stato Italiano
che, con norma di ordine pubblico, quale, per l'appunto, quella di cui
all'art. 23 del D.P.R. 29 settembre 1973 n.600, aveva reso personale e,
quindi, non traslabile, la ritenuta d'acconto sulle retribuzioni dei
lavoratori dipendenti.
La diminuzione della retribuzione, pertanto, non era stata operata contro il
disposto di cui all'art. 2103 c.c., ma in base a una norma imperativa che,
per ragioni d'interesse generale, disciplinava, nel modo gia' detto, il
prelievo tributario nei rapporti di lavoro.
Non si e' trattato, pertanto, di una diminuzione della retribuzione, secondo
l'accezione tecnico - giuridica che l'espressione ha, ne' di una sua
svalutazione calcolata in base a parametri economistici, bensi al prelievo
dell'aliquota d'imposta che ciascun cittadino deve pagare in base alla legge
tributaria vigente, tratto da una retribuzione adeguata, sufficiente e
commisurata ai valori dei contratti collettivi.
Che la retribuzione corrisposta, poi secondo gli accordi intervenuti tra gli
U.S.A. e lo Stato Italiano, era ricontrattabile periodicamente, ex art. 22
della dichiarazione congiunta suddetta, in base alla svalutazione monetaria
intervenuta medio tempore, e alle nuove condizioni di lavoro stabilite, non
ha relazione alcuna con l'applicazione del sistema di prelevamento
tributario, perche' questo e' fattore (incidente) sulle retribuzioni sotto
l'aspetto della loro correlazione alla quantita' ed alla qualita' del lavoro
svolto, ex art. 2099 c.c.
Il prelievo tributario, quindi, non altera l'equilibrio dei contratti di
lavoro sotto l'aspetto dell'adeguatezza e della congruita' della
retribuzione, perche' non e' una causa di squilibrio delle convenzioni
private, bensi rappresenta il modo concreto dell'adempimento dell'onere che
tutti i cittadini hanno di concorrere al costo dei servizi pubblici che lo
Stato presta, e lascia inalterati i valori economici di tutti i contratti di
scambio su cui grava o a cui e' riferibile.
L'obbligo tributario, inoltre, in base alla legislazione vigente, non e'
fungibile, perche' e' stabilito intuitu personae, onde esso, nei contratti
di lavoro, non puo' gravare sull'imprenditore, ne' in forza di convenzione
ne' a seguito di una sua decisione unilaterale, quale atto di benevolenza
verso i dipendenti.
L'art. 53 Costituzione, infatti, stabilisce che: "tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita'
contributiva".
Il sistema tributario e' informato a criteri di progressivita'.
Tale precetto costituisce un'evoluzione notevole nei rapporti tributari,
che, in anticipo, erano regolati dalla norma di cui all'art. 25 dello
statuto albertino, che disponeva che, "essi (i regnicoli) contribuiscono
indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato".
Tale indirizzo, era fondato sui principi della generalita' e della
proporzionalita' delle imposte, mentre il precetto costituzionale fonda il
nuovo sistema sui principi della capacita' contributiva e della
progressivita' delle imposte.
La norma albertina, quindi, non imponeva ai cittadini di essere soltanto
loro, direttamente, e insostituibilmente, soggetti d'imposta, ma consentiva
che l'obbligazione tributaria venisse assolta anche da altri contribuenti,
come sostituti d'imposta, che avevano facolta' di rinunziare alla rivalsa.
Gli art. 15, 16 e 17 infatti, del R.D. 24 agosto 1877, n. 4021, concernente
il Testo unico per la riscossione dell'imposta di ricchezza mobile
obbligavano i datori di lavoro a dichiarare le retribuzioni corrisposte ai
loro dipendenti (redditi di categoria C/2) e a pagarne direttamente
l'imposta relativa, dando loro semplice facolta' di rivalersi sui dipendenti
mediante ritenuta sui salari.
Tale sistema venne abbandonato dal R.D.L. 30 gennaio 1933 n. 18, il cui art.
2 rendeva obbligatorio il prelievo dell'imposta dalle retribuzioni a opera
degli imprenditori; e venne confermato, poi dall'art. 127 del T.U. 29
gennaio 1958 n. 645, che introdusse anche la duplice sanzione della
reiterazione dell'imposizione contributiva a carico del contribuente
evasore, e della sottoposizione del sostituto d'imposta a una sovrattassa in
caso di rivalsa non eseguita.
Il precetto di cui all'art. 53 Costituzione costituisce, pertanto, un
approccio nuovo del legislatore al criterio dell'imposizione dei tributi, e
di tanto ne danno conferma i lavori preparatori svoltisi all'assemblea
costituente.
La prima sottocommissione, che aveva il compito di occuparsi delle norme
relative ai rapporti civili, politici ed economici, aveva frammentarizzato i
principi che avrebbero dovuto presiedere alla materia tributaria in piu'
precetti, con la conseguenza che essa non aveva avuto ne' trattazione
organica, ne' sistemazione adeguata.
La sottocommissione se n'era occupata:
1) nell'art. 18 dello schema da essa elaborato con cui aveva mantenuto fermo
il principio dell'art. 30 dello statuto albertino: "nessun tributo puo'
essere imposto o riscosso se non e' stato consentito dalle Camere e
sanzionato dal re", riformulando nel modo nuovo e piu' ampio che oggi ha
l'art. 23 Costituzione: "nessuna prestazione personale o patrimoniale puo'
essere imposta se non in base alla legge";
2) nell'art. 76 (oggi 80), che disponeva che: "le due Camere autorizzano con
legge la ratifica dei trattati … che importano oneri finanziari";
3) nell'art. 77 (oggi 81) che concerneva, con una formulazione prolissa,
l'approvazione a opera del parlamento, delle leggi di bilancio e di quelle
che importavano oneri nuovi di spese.
La sottocommissione suddetta, pertanto, non si era posta il problema della
riscossione dei tributi, ne' sotto l'aspetto personale del carico ne' sotto
quello della determinazione dei criteri concernenti la distribuzione
impositiva e territoriale di essi.
Tale lacuna fu notata in aula nella seduta del 19 maggio 1947 in occasione
della discussione dell'art. 44 del progetto (tutela del risparmio) con la
presentazione di alcuni emendamenti aggiuntivi, che, per il loro carattere
strettamente fiscale, rilevarono subito la necessita' di una discussione
apposita, onde fu convenuto il rinvio del loro esame al termine
dell'approvazione delle norme del capo terzo, concernente i rapporti
economici, con riserva, in caso di formulazione di un nuovo precetto, di
collocarlo nel titolo piu' adatto in sede di coordinamento generale delle
norme.
La discussione, quindi, venne ripresa nella seduta del 23 maggio 1947 con la
presentazione degli articoli aggiuntivi seguenti:
1) tutti quanti partecipano alla vita economica, sociale e politica dello
Stato sono tenuti al pagamento dei tributi in rapporto alla loro effettiva
capacita' contributiva, salvo le esenzioni e le prerogative previste dalle
leggi;
2) tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacita' contributiva. Il sistema tributario e' informato a criteri di
progressivita';
3) salvo le esclusioni e le riduzioni d'imposta intese ad assicurare le
disponibilita' del minimo necessario al soddisfacimento dei bisogni
essenziali della vita, tutti devono concorrere alle spese pubbliche in modo
che l'onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al
criterio della progressivita'. Le disposizioni che costituiscono comunque
eccezione al principio dell'eguaglianza tributaria possono essere stabilite
solo per l'attuazione di scopi d'interesse pubblico, con legge approvata a
maggioranza assoluta dei membri delle due Camere.
Tali proposte furono accolte favorevolmente, sul rilievo che lo statuto
albertino, come gia' detto, regolava tale materia nell'art. 25, mentre la
discussione si animo' sul criterio nuovo da introdurre, come regula iuris di
ampia massima, della progressivita' del sistema tributario.
Fu rilevato subito che esso non poteva informare tutto il sistema, per la
necessita' oggettiva che non tutte le imposte erano suscettibili di essere
applicate in tal modo: "con tale enunciazione non vogliamo dire che tutte le
imposte indistintamente devono essere progressive, perche' sappiamo che cio'
e' impossibile o scientificamente errato, dal momento che la progressivita'
non si addice alle imposte dirette reali, e puo' trovare applicazione
soltanto indiretta e inadeguata nelle imposte sui consumi e nelle imposte
indirette in generale".
Vi fu, pero' consenso pressoche' unanime sulle considerazioni seguenti che
costituirono la ratio della norma:
1) che il precetto dell'art. 25 dello statuto albertino, che era conforme
alle idee dominanti nel periodo in cui fu promulgato, non aveva impedito che
la legislazione tributaria evolvesse in qualche misura nel senso della
progressivita', perche' progressive erano le imposte sulle successioni e
sulle donazioni, e, particolarmente, quella complementare sul reddito; 2)
che il sistema tributario, pero', e' informato ancora a quello della
proporzionalita', al punto che la massima parte del gettito delle imposte
dirette e' costituito ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni,
sui fabbricati e sulla ricchezza mobile che sono a base oggettiva o reale, e
ad aliquota costante; 3) che per contro e' assai scarso il gettito della
complementare sul reddito globale, che e' a base personale e ad aliquota
progressiva, e cio' prova che lo stesso sistema delle imposte dirette
s'impernia sulla proporzionalita'; 4) che piu' dei tributi diretti rendono
quelli indiretti e questi ultimi attuano una progressione a rovescio,
perche' essendo stabiliti prevalentemente dai consumi, gravano maggiormente
sulle classi meno abbienti, per cui la distribuzione del carico tributario
avviene, non gia' in senso progressivo, e neppure in misura proporzionale,
ma in senso regressivo; 5) che tale indirizzo costituisce un'ingiustizia
sociale grave, che dev'essere eliminata mediante l'introduzione di un
principio che, invertendo quello dell'art. 25 dello statuto albertino, sia
informato a un criterio piu' democratico, piu' aderente alla coscienza della
solidarieta' sociale e piu' conforme all'evoluzione delle legislazioni piu'
progredite; 6) che la regola della progressivita' deve essere effettivamente
operante perche' comporta il concorso di tutti alle spese pubbliche, che
deve avvenire in modo che l'onere tributario complessivo gravante su
ciascuno risulti informato ai criteri della progressivita'; 7) che questa,
applicata ai tributi sul reddito globale o sul patrimonio, corregge le
iniquita' derivanti dagli altri tributi, e, in particolare, quelli sui
consumi.
Dal dibattito svoltosi in aula, poi, risulto' di tutta evidenza qual'era
l'evoluzione politico - legislativa, da un lato, e il trattato differenziale
tecnicogiuridico, dall'altro, tra criterio proporzionale e criterio
progressivo del sistema tributario, sulla esemplificazione cui ricorse il
proponente del primo emendamento in seguito ad alcune osservazioni ricevute
e ad alcuni chiarimenti chiesti: chi ha diecimila lire di reddito e ne paga
mille allo Stato, con l'aliquota del 10 per cento, si trovera' con novemila
lire da impiegare per i suoi bisogni privati, mentre chi ne ha centomila,
dopo aver pagato l'imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si
trovera' con una disponibilita' di novantamila lire, per cui e' chiaro che
il primo contribuente, per pagare l'imposta, sopporta un sacrificio di gran
lunga maggiore del secondo, e sarebbe equo, per contro, alleggerire
l'aggravio del primo e rendere un po' meno leggero quello del secondo.
Il legislatore costituente, pertanto, riconobbe, secondo le dichirazioni
rese dal presidente della Commissione per la costituzione, che non tutti i
tributi possono essere progressivi, perche' ve ne sono di diretti e di
reali, che, necessariamente, devono essere personali, ma volle che il
sistema tributario sia ispirato, nel suo complesso, a criteri di
progressivita'.
Consegue pertanto, che lo stesso legislatore costituente volle mutare la
ratio dell'art. 25 dello statuto albertino per quanto concerne
l'infungibilita' dell'assoggettamento, alle imposte, perche' quel precetto
non faceva tanto leva sull'obbligo contributivo di ciascun cittadino, quale
partecipe dei servizi che la collettivita' gli rende (come dimostrava, per
l'appunto, il R.D. 24 agosto 1877, n. 4021 gia' citato), quanto sul
complesso d'imposte che venivano riscosse dall'Erario in base all'abbienza
di ciascun chiamato al pagamento prescindendo dall'identita' dei soggetti
che vi adempivano.
Il criterio della progressivita' delle imposte, al contrario, ha come
presupposto indefettibile, che ogni cittadino paghi personalmente ed
infungibilmente i tributi che gli competono, perche' esso non potrebbe
essere attuato se una parte del reddito prodotto non venisse denunziato ai
fini della determinazione del complesso dei cespiti imponibili.
La parte residua, infatti, dei beni da assoggettare a contribuzione verrebbe
colpita con un'aliquota minore, in caso di cumulo di piu' redditi, e con
nessuna aliquota in caso di un solo reddito.
Consegue, pertanto, che se gli U.S.A. avessero continuato a non operare le
ritenute di acconto sull'IRPEF che i loro dipendenti avrebbero dovuto
pagare, questi ultimi, non denunziando in tal modo il reddito da lavoro
procacciatosi, lo avrebbero sottratto all'accertamento del loro patrimonio
assoggettabile a contribuzione, con le conseguenze gia' dette.
Questo e' il motivo per cui l'applicazione del criterio della progressivita'
delle imposte suscettibili di tale metodo impositivo, rende personale e
infungibile l'obbligazione relativa, e rende illecito ex lege (D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) qualsiasi comportamento difforme, oltre che nulle, ex
art. 1418 c.c., eventuali convenzioni in contrario.
Da quanto fin qui esposto consegue che il ricorso e' fondato e deve essere
accolto, onde la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata
per nuovo esame ad altro Tribunale, che si adeguera' ai principi di diritto
suddetti e, provvedera', infine, a regolare le spese del presente giudizio.

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