Sentenza del 23/09/2004 n. 19161 - Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Testo

                    Svolgimento del processo  

 La Immobiliare...  S.n.c..  impugno' il silenzio rifiuto formatosi sulla  

istanza di rimborso della somma di lire 8.213.000 versata a titolo di Ici
relativamente agli anni di imposta 1996, 1997 e 1999 in relazione a un
terreno sito in Comune di Santarcangelo di Romagna, distinto nel N.C.T. al
foglio 20, mappali n. 2095, di mq. 93 e n.\u00C3\u00882096, di mq. 11,104. Dedusse che,
trattandosi di terreno incolto e non edificabile, non sussistevano i
presupposti di legge per l'applicazione dell'imposta, a mente del disposto
degli artt. 1 e 2 del D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992.
L'adita commissione tributaria provinciale di Rimini respinse il ricorso
e stessa sorte riservo' all'appello della contribuente la Commissione
tributaria regionale dell'Emilia Romagna, la quale osservo' come dal
certificato di destinazione urbanistica risultasse che: la particella n.
2095 del foglio 20 ricade in "zona B/0 residenziale edificata di
contenimento dello stato di fatto e di conservazione del verde esistente";
la particella n. 2096 del foglio 20 ricade in "zona F/1 per attrezzature
pubbliche urbane e territoriali (art. 9.2. delle n.t.a.)". Le aree in
discussione rientrano nella fattispecie impositiva ex art. 2 del D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992 in quanto la particella n. 2095 (di mq. 93) non puo'
considerarsi pertinenziale all'edificio esistente (di residua proprieta'
venditrice) per espressa ammissione dell'appellante (ed acquirente) essendo
stata "stralciata mediante apposito frazionamento" anteriormente alla
compravendita; per esclusione, essa va quindi considerata potenzialmente
utilizzabile a fini edificatori (area di sedime o pertinenza di fabbricato
edificando); la particella n. 2096 (di mq. 11,104) e' edificabile con indice
0,30 mc/mq. indipendentemente dalla destinazione pubblica o privata delle
opere in previsione o dalla soggettivita' dell'intervento; in entrambi i
casi, la particolare situazione restrittiva e vincolistica discendente dalle
ricordate previsioni del P.R.G. possono influenzare i valori delle aree ma
non certo sottrarle alla imponibilita'.
Contro tale sentenza la Immobiliare… S.n.c. ha proposto ricorso per
cassazione sostenuto da un unico motivo. Non resiste il Comune intimato.

                        Motivi della decisione  

 Con l'unico   complesso   motivo   del  ricorso,  la  societa'  ricorrente  

denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, vizi motivatori e "errata valutazione di documenti
decisivi". La Commissione regionale - sostiene - ha erroneamente ritenuto
fabbricabili e comunque imponibili ai fini Ici le particelle de quibus sulla
sola base del certificato di destinazione urbanistica, omettendo di
considerare la nota datata 22 dicembre 1999 con cui il servizio edilizia e
pianificazione territoriale del Comune di Santarcangelo di Romagna dava atto
che, dal punto di vista urbanistico, la particella n. 2095 del foglio 20
costituisce area pertinenziale di un edificio esistente ed e' in pratica
equiparabile a terreno edificato. Quanto all'altra particella, avente
capacita' edificatoria pari a 0,30 mc/mq. di superficie territoriale
utilizzabile per realizzazione di servizi pubblici di interesse comunale e
sovracomunale, da definirsi con apposito piano particolareggiato, la
Commissione non avrebbe considerato che, affinche' un terreno possa
considerarsi fabbricabile e assoggettabile all'Ici, occorre che sia
suscettibile di utilizzazione edificatoria per opera del suo proprietario in
base allo strumento urbanistico vigente, ovvero, in mancanza di detto
strumento, che in capo ad esso comunque sussistano possibilita' di
edificazione determinate secondo i criteri previsti, agli effetti
dell'indennita' di espropriazione per pubblica utilita', dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359.
La censura attinente alla valutazione operata dalla Commissione
dell'area iscritta in catasto al foglio 20, mappale 2095, e' infondata.
Il giudice a quo ha infatti evidenziato che la particella n. 2095 (di
mq. 93) non puo' considerarsi pertinenziale all'edificio esistente (di
residua proprieta' venditrice) in quanto, per espressa ammissione
dell'appellante (ed acquirente), "stralciata mediante apposito
frazionamento" prima della compravendita. Ha soggiunto che, per esclusione,
essa va considerata potenzialmente utilizzabile a fini edificatori quale
area di sedime o pertinenza di fabbricato edificando.
La stessa Immobiliare… S.n.c.. ha premesso in ricorso che l'area in
questione era stata stralciata dal fabbricato di civile abitazione del
proprio dante causa, onde riquadrarne la proprieta' contigua a quella, che
qui interessa, acquistata da essa ricorrente.
Da un tale contesto fattuale, quindi, i giudici di merito hanno
correttamente dedotto che il frazionamento, operato in previsione del
trasferimento dell'area alla societa' odierna ricorrente, ha comportato
necessariamente una modifica della destinazione d'uso e della natura
pertinenziale dell'area medesima rispetto al fabbricato cui accedeva. In
diversi termini, detti giudici hanno presuntivamente escluso che, dopo
l'avvenuto frazionamento, l'area potesse ancora considerarsi asservita e
destinata durevolmente al servizio ed ornamento del fabbricato del dante
causa della societa' acquirente.
Le richiamate argomentazioni, frutto di apprezzamento di fatto a sua
volta ispirato a una corretta applicazione della legge, appaiono
ineccepibili, sottraendosi cosi' a qualsivoglia sindacato in questa sede di
legittimita'.
Vero e' che in tema di imposta comunale sugli immobili (Ici), l'art. 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale esclude l'autonoma tassabilita' delle
aree pertinenziali, fonda l'attribuzione alla cosa della qualita' di
pertinenza sul criterio fattuale e cioe' sulla destinazione effettiva e
concreta della cosa al servizio od ornamento di un'altra cosa, senza che
rilevi l'intervenuto frazionamento dell'area posta al servizio di un
edificio, avente esclusivo rilievo formale. Infatti, l'art. 2 D.Lgs. n.\u00C3\u0088504/1992, laddove chiarisce che, ai fini dell'Ici, "per fabbricato si
intende l'unita' immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto
edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area
occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza", in tal
modo escludendo l'autonoma tassabilita' delle aree pertinenziali, non puo'
che adoperare il termine pertinenza in senso tecnico, con implicito
riferimento alla definizione che di tale categoria di "bene" fornisce il
codice civile all'art. 817 del codice civile ("Sono pertinenze le cose
destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa")
inequivocabilmente relazionata alla materiale condizione della res, vale a
dire alla sua destinazione effettiva e concreta, con la conseguenza di
rendere irrilevanti circostanze, come appunto l'intervenuto frazionamento
dell'area, di rilievo esclusivamente formale (vedi Cass. n. 19375/2003).
E tuttavia tale principio viene, ovviamente, in rilievo solo allorquando
l'area in discussione appartenga allo stesso proprietario dell'edificio cui
e' avvinta dal vincolo pertinenziale. Al contrario, nel caso in esame, la
porzione di terreno e' stata venduta alla societa' ricorrente e, proprio in
vista del trasferimento, ne e' stato operato il frazionamento. Quindi, il
principio affermato da questa Corte non puo' trovare applicazione e la
conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito in base a elementi
probatori adeguatamente valutati appare senza dubbio conforme al diritto.
Quanto all'assunto che il giudice non avrebbe tenuto conto della nota
del Servizio edilizia e pianificazione territoriale del Comune di
Santarcangelo di Romagna, va anzitutto osservato che la censura non puo'
essere accolta per mancanza di decisivita', giacche' dal contenuto di essa,
quale riportato in ricorso, non emerge, gia' sul piano astratto, quanto
vorrebbe sostenere la ricorrente, e cioe' che il terreno mantenne la
precedente destinazione e natura pur dopo il trasferimento e il
frazionamento. A questo fine va osservato che l'omesso esame di documenti,
riconducibile al vizio di omessa motivazione su punto decisivo della
controversia (art. 360, n. 5, del codice di procedura civile), ricorre solo
nel caso in cui questi si rivelino idonei a fornire la prova di un fatto
costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in
contestazione, in modo da condurre a una pronunzia diversa. E' infatti ius
receptum nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che l'omesso esame di
un documento puo' essere denunciato in sede di legittimita' sotto il profilo
dell'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia solo quando
si tratti di un documento che sia tale da invalidare, con giudizio di
certezza e non di mera probabilita', l'efficacia probatoria delle altre
risultanze di causa su cui e' fondato il convincimento del giudice del
merito, si che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (cfr. Cass.
nn. 7631/1994, 340/1996, 2819/1999). E dell'indicazione delle ragioni per le
quali il documento trascurato avrebbe determinato certamente una decisione
diversa da quella adottata, e' onerata la parte che quella pretesa omissione
ha fatto oggetto di doglianza. Inoltre, il potere-dovere di stabilire se il
documento di cui si lamenta l'omesso esame sia, sul piano astratto in base a
criteri di verosimiglianza, tale da indirizzare a una pronuncia diversa da
quella adottata, compete alla Corte di Cassazione in sede di esame del
motivo di ricorso (Cass. nn. 288/1989, 3396/2003, 9701/2003). Nella specie,
da un canto, la ricorrente non specifica per quali ragioni l'indicato
documento, ove esaminato dal giudice di merito, lo avrebbe sicuramente
condotto a una decisione diversa da quella adottata; d'altro canto, tale
illazione e' da escludere in quanto, anche a un sommario esame, il documento
appare scarsamente conducente e sicuramente inidoneo a depotenziare la
valenza probatoria degli (altri) elementi (frazionamento dell'area prima del
suo passaggio di proprieta') cui il giudice di merito ha ritenuto, nel suo
sovrano apprezzamento, di ancorare il proprio convincimento.
Anche la seconda doglianza e' infondata, ma la motivazione della
sentenza, conforme a diritto nel dispositivo, deve essere integrata, ai
sensi dell'art. 384, comma 2, del codice di procedura civile, nei termini
appresso precisati.
E' incontroverso che la particella n. 2096 (di mq. 11,104) e' inserita
in zona F/1, come indicata dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e comprendente
"le parti del territorio destinate a attrezzature e impianti di interesse
generale", nella ripartizione del territorio comunale in zone omogenee (art.
9, paragrafo 2, delle norme tecniche di attuazione), e ha una capacita'
edificatoria pari a 30 mc/mq. di superficie territoriale utilizzabile per la
realizzazione di servizi pubblici di interesse comunale e sovracomunale, da
definirsi con apposito piano particolareggiato.
Osserva il giudice a quo che la particolare situazione restrittiva e
vincolistica discendente dal P.R.G. non puo' escludere l'imponibilita'
dell'area in questione, dovendosi la stessa considerare edificabile
"indipendentemente dalla destinazione pubblica o privata delle opere in
previsione o dalla soggettivita' dell'intervento".
La prima parte della motivazione riportata tra virgolette e'
incomprensibile, posto che la previsione di piano esclude una destinazione
privata delle opere consentite.
Viceversa coglie il segno, e giustifica la conclusione cui e' sul punto
pervenuta la Commissione tributaria regionale, il rilievo, desunto
dall'interpretazione dello strumento urbanistico, che l'area in zona F/1 e'
edificabile "indipendentemente dalla soggettivita' dell'intervento" nel
senso, cioe', che e' possibile la realizzazione anche da parte del privato
delle opere in previsione riguardanti un interesse collettivo, con
conseguente potenzialita' di sfruttamento economico del bene per opera del
suo proprietario.
Invero, la zonizzazione operata dai piani regolatori generali e'
espressione di indirizzi programmatici destinati agli enti locali e non ai
privati e quindi determina vincoli conformativi della proprieta', perche' le
aree dei privati site nelle singole zone potranno essere destinate alla
pubblica utilita' solo da atti di esecuzione di strumenti urbanistici, che
quindi in genere non contengono vincoli preordinati all'esproprio, salvo il
caso di pianificazione urbanistica cosiddetta lenticolare o di strumenti
urbanistici di terzo livello (cosi' Cass. Sez.Un. n. 173/2001, nonche' Cass.
nn. 4921/1998, 2272/1999, 15114/2001).
Con riferimento al caso di specie, in relazione alla vocazione legale
del suolo (prevalente nella valutazione dell'edificabilita') ai sensi
dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, si deve escludere che la
destinazione dell'area utilizzabile per realizzazione di servizi pubblici di
interesse comunale e sovracomunale, da definirsi con apposito piano
particolareggiato (vedi pag. 7 del ricorso), possa configurare un vincolo
preordinato all'esproprio, non sussistendo (e comunque non essendo stato
dedotto dalla ricorrente) alcun impedimento a che alle necessita' in
questione si provveda mediante interventi da parte del privato. Il vincolo
puo' quindi ricomprendersi tra quelli che, secondo la decisione della Corte
Cost. n. 179 del 1999, "importano una destinazione (anche di contenuto
specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata".
La realizzabilita' degli obiettivi di interesse generale, di dotare il
territorio di attrezzature e servizi, anche attraverso l'iniziativa
economica privata, a mezzo di appositi strumenti di convenzionamento, ha
indotto il giudice delle leggi ad espungere tali destinazioni urbanistiche
dalla categoria tradizionale dei vincoli espropriativi.
E sulla scia della cennata pronuncia del giudice delle leggi, la
giurisprudenza di questa Corte in materia di espropriazione per pubblica
utilita' (la quale fornisce valide soluzioni al fine di determinare se
un'area sia fabbricabile o meno, ai fini Ici nel caso sussistano dubbi) ha
affermato che nel sistema introdotto dall'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992
(convertito, con modificazioni, in L. n. 359 del 1992), caratterizzato dalla
rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole o comunque non
edificabili, il riconoscimento della edificabilita' - che non si identifica
e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa - postula l'indagine
circa la concreta disciplina e destinazione attribuita dagli strumenti
urbanistici all'area: qualora, infatti, la zona sia stata concretamente e
particolareggiatamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico, che
non ne tollera la realizzazione ad iniziativa privata neppure attraverso
strumenti di convenzionamento, la classificazione apporta un vincolo di
destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione
del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione come tali
soggette al regime autorizzatolo previsto dalla vigente legislazione
edilizia, con la conseguenza che l'area va qualificata come non edificabile;
qualora, invece, il vincolo posto dalla classificazione introduca una
destinazione realizzabile non solo mediante interventi (o successive
espropriazioni) di natura pubblica ma anche ad iniziativa privata (non
importa se direttamente ovvero in seguito ad accordi di natura complessa), o
promiscua pubblico - privata, detto vincolo non e' idoneo ad escludere la
vocazione edificatoria del suolo (cosi' Cass. n. 11729/2003, proprio in
fattispecie avente a oggetto area compresa in zona F/1; vedi, altresi',
Cass. Sez. Un. nn. 172/2001 e 173/2001 nonche' Cass. nn. 3298/2000,
8028/2000, 9669/2000, 2641/2003).
In altre parole, nel caso in ispecie, come ritenuto (in fatto e in
diritto) dalla Commissione tributaria regionale, la destinazione attribuita
all'area dalla classificazione in zona F/1 comporta l'attribuzione alla
stessa di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, essendo consentito
ai privati proprietari di realizzare le opere previste e, quindi, di
sfruttare economicamente il loro diritto dominicale.
Resta in tal caso fermo, come rilevato dal giudice tributario, il
diverso grado di commerciabilita' e il diverso livello di apprezzabilita'
del bene in ragione della peculiare destinazione impressa alla zona in cui
e' compreso. Circostanza, questa, per come e' ovvio, indifferente ai fini
della qualificazione edificatoria dell'area e quindi a fini impositivi Ici,
influendo semmai sul valore in comune commercio da esporre nella relativa
dichiarazione.
La conclusione cui e' giunta la Commissione tributaria regionale,
integrata dalle osservazioni sopra formulate, resiste, pertanto, alle
critiche mosse dalla ricorrente.
La eccezione di incostituzionalita' di un'interpretazione siffatta
dell'art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992, rectius della nozione di area
fabbricabile ai fini Ici, in "base alla quale la disposizione citata
assumerebbe una connotazione di manifesta irrazionalita' e disparita' di
trattamento tra i contribuenti, nonche' una portata espropriativa e
gratuitamente pregiudizievole dei diritti immobiliari e contributivi dei
cittadini… in violazione di principi… quali quelli espressi dagli artt.
3, 23, 42 e 53 della Costituzione", e' manifestamente inammissibile per la
sua estrema genericita' in quanto la ricorrente non illustra i termini e i
motivi che dovrebbero indurre a dubitare della costituzionalita' della norma
denunciata. In particolare, non sono spiegate le ragioni specifiche in base
alle quali verrebbero concretamente a realizzarsi i lamentati vulnera ai
parametri costituzionali indicati. Essa e' anche infondata perche', come
dianzi ricordato, la stessa Corte Costituzionale, con la citata sentenza n.
179 del 1999, ha indirettamente avallato l'interpretazione criticata (id
est, la possibile qualificazione edificatoria di area inclusa in zona F/1),
precisando esplicitamente che sono al di fuori dello schema
ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi
non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita)
i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico)
astrattamente realizzabile ad iniziativa privata o promiscua
pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o
interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche
dal soggetto privato e senza necessita' di previa ablazione del bene. Cio',
sottolinea la Corte Costituzionale, puo' essere il risultato di una scelta
di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse
generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti
realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni
pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata, pur se
accompagnati da strumenti di convenzionamento.
Il ricorso va in definitiva rigettato, senz'uopo di provvedere sulle
spese del presente giudizio, non avendovi l'ente intimato svolto difese di
sorta.

                                  P.Q.M.  

 La Corte, rigetta il ricorso.

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